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Valle Grana: una lunga storia da leggere nelle incisioni e tra fortezze, miniere e rocce

MONTAGNA

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LUCIO ALCIATI - Di castelli, manieri e fortezze, la Valle Grana (provincia di Cuneo) era ricca. Nel corso dei secoli ogni comunità di questa piccola e fertile terra era dotata di tali edifici. Posti, nel tempo, in luoghi diversi. Ma perché la nostra valle era così fortificata? Piccola, ingabbiata tra la Val Stura e la Val Maira, senza vie di collegamento transalpino da difendere e controllare. La probabile risposta nasce proprio dallo studio della Meno di Pradleves e della sua affascinante indagine documentale e storica che ci suggerisce una valle tutta da scoprire e valorizzare.

Se questi castelli non avevano le suddette funzioni di carattere commerciale o militare, la loro mansione doveva essere il controllo dei diritti relativi alle risultanze economiche del territorio e specialmente lo sfruttamento minerario. Di cui probabilmente era ricca, come testimoniano le tracce di numerose miniere e cave, alcune ancora visibili, altre scomparse e già appartenenti al mito. Chissà quante scaramucce e liti non scritte. Briganti e intrighi persi nella nebbia del passato. Racconti fantastici, bugie e verità. Avidità e delitti a causa del nobil metallo.

La lunga storia mineraria della Valle Grana viene citata già nei censimenti mineralogici del XVIII – XIX secolo dove sono registrati giacimenti di rame che hanno attirato investitori fino al XX secolo (e ciò dà da pensare), probabilmente potevano già essere attivi nei secoli intorno al 1200 (età della “Meno di Pradleves”). Tale intensa attività estrattiva di minerali anche preziosi fa presupporre, dunque, una continua e confacente presenza signorile nel tempo.

Ma iniziamo il nostro viaggio leggendario tra castelli, miniere e rocce da Castelmagno. Di questo territorio suggestivo conosciamo specialmente il santuario di S. Magno. Edificio sorto su un antico insediamento romano, probabilmente militare e prima di esso, sede di culto pre celtico. Tuttavia già il suo toponimo è significativo e conduce il pensiero all’antica presenza di un castello. Ma di castelli o fortezze, in questa terra alta e nel corso del tempo, dovevano esserne sorti più di uno. Il più antico sul monte Chastlar, che sovrasta la frazione Chiotti, zona di probabile “Castellaro” pre celtico. Però anche la borgata La Torre, a Chiappi, è significativa.

Proprio in quest’ultima borgata è presente una pietra cantonaria con incisa la data 1200 e proprio qui, secondo uno studio sulle ”Strutture edilizie ospedaliere nei secoli XIV – XVI” di Edoardo Cavallo, sorgeva un “Ospizio Alpino” nel XIII secolo - cioè nel 1200 - per dare assistenza ai pellegrini e viandanti. Cocci di ceramica si riscontrano tutt’ora sulle pendici erbose del Chastlar verso Chiappi, forse testimoni di un villaggio scomparso durante il tragico periodo delle alluvione del 1600. Alluvioni devastanti, con smottamenti importanti che colpirono altri villaggi come Pradleves da Runie (toponimo di frana – rovina), Bernezzo zona Lusernetta, eccetera.

A Castelmagno, ad esempio, in quel periodo scomparve inesorabilmente anche la cappella di S.Bernardo (poi costruita sul lato opposto in cui, nell’intonaco, sono ancora visibili frammenti di pitture originali) e anche la chiesa o cappella della Borgata Nerone, posta nello stesso lato della primitiva chiesa di S. Bernardo ma più a valle, dinanzi alla suddetta borgata. Pare che la leggenda del vecchio mendicante ripudiato sia nata da questi eventi distruttivi.

Mitica e determinante, invece, la presenza del massiccio e maestoso (magno?) castello da cui origine tre il nome di questo territorio, che sorgeva sul promontorio panoramico della fraz. Colletto. Nel 1930 alcune prospezioni archeologiche portarono alla rilevazione di resti di una importante recinzione muraria e della supposizione dell’antica presenza di un castello di pianta quadrata dotata di torri imponenti, presumibilmente del 1400. Le ricerche furono brevi, superficiali, poco approfondite e non considerate.

Tuttavia, pochi anni fa, ho notato un’incisione rupestre unica, credo, nel suo genere, elaborata su una roccia posta su una rupe dirimpettaia al promontorio del Colletto, che conferma l’esistenza di questo castello, di pianta quadra, dotata di tre torri. Una mappa, una fotografia dal passato che raffigura, in modo schematico e stilizzato, oltre a quanto detto, anche la cerchia montuosa, una croce che indica la sottostante borgata Croce – antico villaggio medioevale del Castello – e una torre di avvistamento presso la Bastia – luogo a cavallo tra il vallone di Narbona e di Valliera. Bastia, toponimo riferito a punto fortificato.

Dunque territorio sottoposto ad importante vigilanza nei secoli. Un territorio che, di primo acchito, può sembrare povero ma che nascondeva – e magari nasconde ancora - ,nelle sue anguste viscere, minerali che per quei tempi erano molto preziosi, come ad esempio l’argento e il rame. Nelle mappe di fine ‘700 compare la presenza di una miniera sulla costa Sibolet (toponimo che alcuni lo reputano di origine saracena – avidi ricercatori di metalli preziosi). D’altronde da qui si snoda il vallone denominato “della Miniera”.

Alcune altre fonti segnalavano la presenza di una miniera argentifera nel vallone di Narbona e si narra che la sua comunità batteva moneta propria. Anziani raccontavano che anche nel vallone di Valliera si estraeva del minerale nero e chi lo trasportava nelle gerle accusava gravi scottature alla schiena. E poi chissà...

Lucio Alciati

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