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VALDIERI/ "Capodanno celtico" anche sulle tavole della Ruota Due di Andonno

MONTAGNA

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MARIO CONTE - La notte del 31 ottobre è stata la festa di Capodanno delle culture celtiche. Come tale, rappresentava la conclusione di un anno agrario. Gli alberi, i campi, le selve, che erano il fondamento della religione, si fermavano in una sorta di morte. Era la notte nella quale i viventi celebravano non i “morti” in quanto tali, ma in quanto avi, antenati, predecessori degni di essere venerati.

Successivamente il cristianesimo, come fece con tutte le altre festività pagane, sovrappose al “Samhain”, ovvero samonio, una “all hallows'eve” ovvero notte prima di Ognissanti. Tale ricorrenza emigra in America e ritorna all'Europa come Halloween e la storpiatura del nome corrisponde all'alterazione del significato originario, dove i morti divengono oggetto di scherzo carnevalesco e il tutto viene sfruttato commercialmente.

L'originaria impostazione celtica è riproposta, ormai per la quinta volta, da gruppi di persone che raffigurano ed interpretano quelle popolazioni celtiche presenti in Piemonte, le quali dovevano difendersi dalle invasioni etrusche prima e romane poi, e quindi erano animate da totale avversione nei loro confronti. Questo astio è ben rappresentato negli interventi che vari personaggi vestiti con abiti molto rustici interpretano durante il consesso celebrativo del Samonio, alternandosi tra varie portate del grande banchetto.

Gli atteggiamenti dei commensali - urla, pugni sulla mensa, suoni di corno e tamburo e i contenuti dei discorsi - ben rappresentano agli occhi e all'udito un'epoca ed un'esistenza ancora naturalmente grezza e, in quanto tale, profondamente distante dalla civiltà che voleva sottometterli. Fin quando la rappresentazione è una lezione di storia poco conosciuta, sia pur discutibile, mi pare lodevole e interessante, non posso non paragonare tutta la rudezza celtica all'insieme di terme, scultura, pittura, architettura, letteratura, teatro, filosofia, diritto, cucina, che rappresentava, in una parola, la civiltà romana.

A proposito della cucina, Andrea, l'ottimo chef della Ruota Due di Andonno (Cuneo), ha proposto cibi di grande piacevolezza: un plaudo soprattutto alla pasta con sugo di cacciagione, alla minestra di fagioli, all'agnellino alle erbe e al sorbetto di mela. Forse la grande quantità di altri piatti, una dozzina, raggiunge una ricercatezza impensabile con il tipo di alimentazione dei celti che si accontentavano di formaggi, polente di cereali e carni arrostite alla fiamma annaffiate da dosi industriali di “curmidà”, un'arcaica birra. Rimane mio personale parere che raggiungere un'aderenza storica più accettabile si potrebbe, usando in cucina meno ricercatezze e mantenendo la piena gradevolezza dei piatti sopra citati.

Mario Conte, gheusologo

 

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