CUNEO
PIERCARLO BARALE - Il confronto fra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky ha evidenziato due diversi concetti di riforma costituzionale, diametralmente opposti.
Di fronte al pragmatismo renziano, finalizzato alla sicura governabilità ed all'efficienza legislativa, è emerso, nel magistrato impegnato in politica, il timore di una dittatura della maggioranza, espressa dal combinato disposto tra la Costituzione riformata e la legge elettorale sub-judice da parte della Corte Costituzionale.
Più volte è stato criticato, dall'ex Presidente della Consulta, il clima di contesa generatosi nel Paese, anzichè un confronto pacifico e produttivo, trattandosi di dare efficacia ad una modifica sostanziale e sostanziosa della carta nella parte ove statuisce l'ordinamento della Repubblica. Renzi ha ammesso le sue responsabilità sulla personalizzazione della contesa, ammettendo che anche l'"Italicum" appare facente parte integrante delle modifiche, pur essendo legge ordinaria. Quindi modificabile, ove occorra, già prima di averne fatto uso e della pronuncia della Consulta, prevista dopo la verifica referendaria sulle novità costituzionali.
L'illustre docente, politicamente ora impegnato come capofila giuridico del "NO", ha espresso il timore che i padri costituenti avevano provato, uscendo dal ventennio mussoliniano e dalle macerie belliche. Era stato scelto il bicameralismo perfetto, per evitare in radice ogni ritorno all'uomo solo al comando.
Così è stato fino alle modifiche referendarie, con costante lagnanza, in questi ultimi anni, circa la pratica impossibilità di legiferare, per il ping-pong tra le due Camere per quasi ogni provvedimento di una certa valenza. Per governare in tempi non biblici, occorre ricorrere alla decretazione d'urgenza, spesso con il voto di fiducia che obbliga molti dissenzienti a "turarsi il naso" ed approvare, per evitare la fine anticipata della legislatura. Ciò significa perdita dell'indennità e della poltrona. Vi era stata, nella prima fase della procedura di modifica costituzionale, la condivisione del disegno da parte della minoranza berlusconiana.
L'elezione del Presidente della Repubblica, non concordata con Berlusconi, portò alla paralisi della procedura, con la necessità, per il partito proponente, di cercare altri compagni nella restante parte del lungo viaggio conclusosi dopo una vera e propria partita di tennis tra Camera e Senato.
Essendo cambiata la maggioranza "in itinere" le modifiche originarie hanno subito qualche ritocco ed anche l'"Italicum" riflette tali cambiamenti. Peraltro, la Costituzione stessa prevede un'ampia maggioranza per le modifiche. Esse sono limitate alla seconda parte della carta. La prima non è stata modificata e sussistono serie ragioni per sostenerne l'immodificabilità. Trattandosi di principi fondamentali di valenza globale, sottratti alle eventuali esigenze di chi -nello scorrere del tempo - vorrebbe su tali diritti formulare rilievi o allentare il vigore - Zagrebelsky ha espresso più volte il timore che un intero quinquennio di governo possa dare luogo a pericoli di svolte autoritarie. Cinque anni sarebbero troppi, a fronte della sanabilità della composizione del corpo elettorale, rappresentato da una pluralità di partiti.
Con l'Italicum ed il premio di maggioranza dopo il ballottaggio, verrebbe a prospettarsi, per il partito vincente, un periodo di governo senza il timore di essere sfiduciato e soprattutto senza il contrappeso attuale del Senato, destinato ad altre funzioni, dopo la sua formale abolizione.
Pare che il fronte del "NO", come espresso dal docente, voglia evitare proprio gli obiettivi che la riforma si era proposta: un solo partito governa, dopo l'eventuale ballottaggio, per l'intero quinquennio; la sera della consultazione del ballottaggio, si conosce il vincitore. Nelle democrazie parlamentari è così. In quelle presidenziali il potere, anche quinquennale, viene concretato nella persona del Presidente, che nomina il governo. Le opposizioni - tutte - vogliono mandare a casa Renzi. I loro "NO", dalle destre ai dissidenti del PD ed alle sinistre, sono un coro di lagnanze spesso strumentali, talvolta mobilitate da qualche costituzionalista.
Piercarlo Barale