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Se sopra Pechino il cielo è blu come nella Berlino libera dal muro

ALBA

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TERESIO ASOLA - In questi giorni il cielo è blu, sopra Pechino, come a celebrare l'addio alla politica del figlio unico in Cina, gran muro sgretolato per legge, ora che la società necessita di forze nuove per corroborare lo sviluppo economico, come per legge era stato eretto nel 1979. Anche l'anno scorso in questi stessi giorni era blu, grazie alle targhe alterne, alla chiusura delle fabbriche e al bando dell’anatra arrosto a dare la giusta cornice all'Apec, mentre dall'altra parte del mondo, a Berlino, 8mila palloncini venivano liberati lungo il percorso del vecchio tracciato del muro abbattuto per volontà popolare.

Chissà se voleranno anche quest'anno nel cielo blu, là dove ventisei anni fa alle nove e un quarto della sera una dottoressa di Berlino Est, Annemarie Reffert, passava il confine a Marienborn con la figlia sedicenne a bordo di una Lada, a Bornholmer Straße alle undici 20.000 cittadini della Ddr gridavano «aprite!», «noi siamo il popolo!» e «siamo un solo popolo!», rassicurando le guardie con «wir kommen wieder» («ritorniamo») perché alle spalle lasciavano una famiglia da accudire, e a Checkpoint Charlie 3.000 berlinesi dell’Ovest gridavano «lasciateci entrare!» mentre dall’altra parte un centinaio di cittadini dell’Est urlavano «lasciateci uscire!».

Quel «wir kommen wieder» e il passaggio alla frontiera della dottoressa e mamma di Berlino Est ebbero più conseguenza storica dell’ «ich bin ein Berliner» di John Fitzgerald Kennedy nel 1963, almeno al pari del carro armato bloccato cinque mesi prima dall’anonimo ragazzo con busta in mano e giacca nell’altra sulla Chang'an, vicino a Piazza Tienanmen; oppure come la generosità del campione del mondo cinese di ping-pong, Zhuang Zedong, che nel '71 accolse sull’autobus della propria squadra l'avversario americano Glenn Cowan inaugurando la «politica del ping-pong» e il disgelo fra Cina e Usa, anticipatore della visita di Nixon in Cina a febbraio dell’anno successivo, e dei fatti del 1989, propiziati da Giovanni Paolo II e dalla perestroika di Gorbaciov.

La storia è fatta di piccoli gesti. Come quello di Mstislav Rostropovich che l’11 novembre dell’89 eseguì al violoncello, davanti alle macerie a Checkpoint Charlie, alcune suite di Bach in tonalità maggiore, perché «dopo 28 anni di vita in tonalità minore, per i berlinesi è giunto il momento della gioia». E intrisa di frasi semplici, come quelle delle folle berlinesi oppure il rivoluzionario «stay hungry, stay foolish» di Steve Jobs per esortare gli studenti di un’università, nel 2005, al nuovo e all’impresa, anche folle. Ma anche di momenti di apertura formidabili, come la conferenza tenuta l'anno scorso in mandarino da Zuckerberg, nonostante il blocco della sua Facebook in Cina, conquistando in mezz’ora di botta e risposta la platea di studenti cinesi riunita nell'aula magna dell’università Tsinghua di Pechino.

Le lingue, come la musica, gettano ponti e suonano le corde dell’unione fra i popoli; e talvolta, quelle dell’economia. La storia è fatta di gesti di donne e uomini, ma talvolta da leggi, come nel caso dell'abolizione del divieto del figlio unico.

Teresio Asola 

 

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