CUNEO
ANDREA PORRO - Il 1° dicembre 2016 scade - anticipatamente - il termine per gli italiani residenti all’estero ed iscritti all’A.I.R.E. (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) di esprimere il voto c.d. “per corrispondenza” - salvo che abbiano optato per votare in Italia nel Comune d’iscrizione - sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Il diritto di voto per i cittadini italiani che risiedono abitualmente all’estero è previsto direttamente dalla Costituzione che, all’art. 48 c. I, recita “sono elettori tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età”, senza distinzione alcuna tra cittadini residenti all’estero e cittadini residenti in Italia, entrambi comunque titolari del diritto di voto.
Dall’entrata in vigore della Costituzione, quindi, gli italiani residenti all’estero hanno sempre votato, ma per farlo hanno dovuto necessariamente rientrare in Italia e, in particolare, raggiungere il Comune di c.d. “appartenenza amministrativa”, con tutte le relative conseguenze (costi del viaggio, difficoltà lavorative).
La riforma degli anni 2000 e 2001 - 2 leggi di revisione costituzionale (n. 1 del 2000 e n. 1 del 2001), 1 legge ordinaria (n. 459 del 2001) ed 1 regolamento di attuazione (n. 104 del 2003) - si è posta quale obiettivo di sanare una situazione caratterizzata dalla presenza di alcuni cittadini “arbitrariamente discriminati” nell’esercizio dei propri diritti politici.
Per il superamento di tale discriminazione, il legislatore avrebbe potuto limitarsi ad approvare l’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano del c.d. “voto per corrispondenza”; invece, ha anche istituito una circoscrizione ad hoc per i voti dei cittadini italiani all’estero, così riservando ai loro rappresentanti una determinata quota di seggi parlamentari.
Tale soluzione normativa - l’istituzione di una c.d. “circoscrizione estero” - è di fatto un unicum nel panorama internazionale (con la sola eccezione del modello francese dopo la riforma dell’anno 2008), determinando indubbiamente un aggravamento del meccanismo elettorale, già di per sé particolarmente critico, mentre il c.d. “voto per corrispondenza” è una soluzione molto diffusa.
La Commissione dei Saggi, istituita dal Presidente della Repubblica nel 2013, ha suggerito di mantenere il c.d. “voto per corrispondenza” e di eliminare la c.d. “circoscrizione estero” - mai avvenuta -, così da far confluire i voti espressi all’estero nelle circoscrizioni elettorali nazionali nelle quali ogni elettore residente all’estero è ancora iscritto e così da evitare ipotesi di truffa elettorale.
Altresì, la Commissione ha espresso un giudizio parzialmente negativo sul c.d. “voto per corrispondenza”, poiché non sarebbero garantiti la personalità e la segretezza del voto - princìpi espressamente previsti dall’art. 48 Cost. -, individuando alcune soluzioni, attualmente non ancora approfonditamente vagliate, né tantomeno attuate.
E la soluzione consisterebbe, con inevitabili sforzi organizzativi e costi economici, nell’introduzione del c.d. “voto in loco” dei cittadini italiani residenti all’estero, ossia presso gli Uffici Consolari italiani - così come avviene attualmente per le elezioni europee -, garantendo comunque agli elettori di votare direttamente dal luogo di residenza.
Nel corso della campagna per il referendum del 4 dicembre 2016 sono state avanzate numerose critiche nei confronti del voto dei cittadini italiani all’estero, stante l’asserito vulnus dei princìpi di personalità, libertà e segretezza del c.d. “voto per corrispondenza” espresso sulle schede ricevute dal Consolato e consegnate a quest’ultimo entro il giovedì che precede la domenica elettorale.
Effettivamente, le schede elettorali passano nelle mani di una pluralità di persone - dai postini che recapitano le schede ed il materiale accessorio, ai funzionari che gestiscono l’afflusso dei plichi presso gli Uffici Consolari, sino allo spoglio delle schede presso la Corte di Appello di Roma -, con il conseguente rischio di una possibile loro manomissione e/o manipolazione.
Il voto per corrispondenza appare, quindi, soggetto ad una serie di incertezze, quali l’affidamento ai sistemi postali locali, il pericolo di furti, il rischio di compravendite o sostituzioni dei cittadini votanti, così risultando forse opportuno il rafforzamento dei controlli e l’allestimento di seggi negli Uffici Consolari degli Stati esteri.
Tuttavia, gli argomenti posti a fondamento dei sostenitori del “no” appaiono quanto mai ispirati non tanto a ragioni di c.d. “giustizia sociale” per la tutela dei princìpi di personalità, libertà e segretezza del c.d. “voto per corrispondenza”, quanto piuttosto a ragioni di opportunità politica, essendo prospettato un ricorso giurisdizionale esclusivamente “in caso di vittoria del sì”.
Le dichiarazioni del neo-Presidente Trump - che ha preannunciato ricorsi elettorali sino alla vigilia del voto per le elezioni presidenziali - hanno fatto breccia anche in Italia, laddove probabilmente sono destinate a dissolversi - così come avvenuto negli Stati Uniti d’America - già all’indomani del voto per il referendum costituzionale, riducendosi quindi a sterile polemica.
Pare essere una prassi - questa esclusivamente italiana - la volontà di approvare emendamenti alle leggi elettorali, tanto principali quanto accessorie (ivi compresa la legge n. 459 del 2001), in prossimità del voto, non riconoscendo la necessità che le “regole del gioco politico” siano previste a priori, indipendentemente da ogni condizione contingente.
Andrea Porro