ATTUALITà
ANDREA PORRO - Con un’affluenza pari al 65% circa sul territorio nazionale, il 4 dicembre 2016 i cittadini italiani hanno espresso inequivocabilmente la propria contrarietà alla riforma costituzionale, così come approvata dal Parlamento in data 12 aprile 2016, senza alcun immediato effetto riflesso all’apertura dei mercati finanziari.
Non hanno convinto gli argomenti - di costituzionalisti e non - a favore della riforma costituzionale, diffusamente illustrati nel corso di una forsennata ed accesa campagna politico-referendaria condotta per parecchi mesi mediante social network, mass media, incontri e confronti pubblici.
In particolare, - probabilmente e principalmente - non hanno convinto le dichiarate finalità sottese alle proposte di revisione costituzionale delle funzioni e della composizione del Senato della Repubblica, dei procedimenti legislativi, nonché dei criteri di riparto delle potestà legislative e regolamentari tra Stato e Regioni.
Ed una incomprensibile personalizzazione del referendum costituzionale ha determinato l’ulteriore effetto delle dimissioni dell’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, già preannunciate in corso di scrutinio, stante l’ampio divario, registrato sin dall’inizio e confermato alla fine, tra i voti favorevoli (il 40% circa) e quelli contrari (il 60% circa).
Pare allora che il più importante ed immediato effetto della mancata approvazione della riforma costituzionale siano state le preannunciate dimissioni del Presidente del Consiglio dei Ministri e la conseguente caduta del Governo, promotore ed ispiratore di una riforma costituzionale approvata solo dal Parlamento, ma non dagli elettori.
Non si può nascondere di sottolineare la netta spaccatura, a fronte del medesimo disegno di legge costituzionale c.d. Renzi-Boschi, tra la maggioranza del Parlamento - che ha approvato la riforma costituzionale il 12 aprile 2016 - e la maggioranza dei cittadini elettori - che ha espresso il dissenso al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 -.
Non ha spaventato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, né la vittoria di Trump negli Stati Uniti d’America, pur essendo stati rappresentati dalla stampa internazionale quali eventi dagli effetti irreversibilmente pregiudizievoli; parimenti non può - e non deve - spaventare la mancata approvazione della riforma costituzionale in Italia.
L’esito del referendum deve, semmai, rappresentare il naturale e necessario avvio di un serio e disinteressato dibattito politico sulla urgente riforma dell’attuale legislazione elettorale vigente in Italia, previo incarico da affidarsi a cura del Presidente Mattarella ad un Governo c.d. “tecnico” o “di scopo”, in alternativa alle elezioni anticipate.
Sovviene all’uopo ricordare che la Legge 270/2005 (c.d. Porcellum) ha introdotto in Italia un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza (nazionale per la Camera e regionali per il Senato) assegnato alla lista o alla coalizione avente la maggioranza dei voti validi, nonché con la previsione di liste bloccate e la conseguente impossibilità per gli elettori di esprimere alcuna preferenza.
La Corte Costituzionale, intervenuta con la sentenza n. 1/2014, ha dichiarato l’incostituzionalità parziale delle disposizioni della succitata Legge 270/2015 laddove è assegnato un premio di maggioranza indipendentemente dal raggiungimento di una soglia minima di voti validi e laddove è ammessa la formazione di lunghe liste bloccate senza preferenze.
Alla luce di quanto sopra, la Legge 270/2015 - peraltro ridefinita Consultellum per il sopravvenuto intervento della Consulta in merito - è stata trasformata di fatto in un sistema elettorale proporzionale puro (senza premio di maggioranza), con la possibilità per gli elettori di esprimere un voto di preferenza.
Recentemente, con la Legge 52/2015 (c.d. Italicum), valida per la sola elezione della Camera dei Deputati, il Parlamento ha introdotto un sistema elettorale proporzionale con un premio di maggioranza (55% dei seggi della Camera, pari a 340 Deputati) attribuito alla lista che al primo turno raggiunge almeno il 40% dei voti validi, ovvero alla lista che al ballottaggio ottiene maggiore consenso in termini di voti validi.
Con quest’ultima legge, in merito alla quale sono state sollevate questioni di legittimità costituzionali attualmente pendenti avanti la Corte costituzionale, si è tentato non solo di valorizzare la governabilità - con l’attribuzione di un premio di maggioranza -, ma anche di salvaguardare la rappresentatività - con il favor del sistema elettorale proporzionale per la pluralità della rappresentanza politica -.
Ad oggi, quindi, nella denegata ipotesi di elezioni politiche anticipate, gli elettori sarebbero chiamati ad eleggere i membri della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica in forza di due Leggi differenti - una delle quali ancora pendente avanti la Consulta -, con conseguente e probabile formazione di maggioranze parlamentari differenti nelle due Aule.
In altri termini, è giunto il tempo di definire, con sollecitudine e saggezza, nell’esclusivo e superiore interesse pubblico, le “regole del gioco” politico-partitico - auspicando l’approvazione di una legislazione elettorale che garantisca un giusto equilibrio tra i contrapposti princìpi della rappresentatività e della governabilità - prima del “fischio d’inizio” - ossia prima dell’indizione delle nuove elezioni politiche, probabilmente anticipate.
Andrea Porro