CUNEO
MARIO ROSSO - Chiacchierando con amici e conoscenti, ho constatato che molti di coloro, che hanno deciso di votare no al referendum sulla riforma costituzionale, hanno preso tale decisione non perché conoscono la riforma, ma perché animati da risentimento o ostilità verso il governo Renzi.
A costoro dico: comunque vada il referendum, che vinca il si o vinca il no, la riforma troverà applicazione soltanto nella prossima legislatura e a godere dei benefici della riforma sarà il governo che uscirà dalle prossime elezioni e non il governo Renzi.
Così recita, infatti, l’articolo sull’entrata in vigore della riforma (art.41): “Le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano a decorrere dalla legislatura successiva allo scioglimento di entrambe le Camere”. La stessa norma prevede l’immediata entrata in vigore soltanto per alcune limitatissime e, credo da tutti condivisibili, voci: l’equilibrio fra i sessi nelle leggi elettorali, il giudizio preventivo di legittimità costituzionale delle leggi elettorali (italicum o nuova legge elettorale compresi), la competenza riservata alle regioni di decidere sulla formazione degli enti di area vasta (che sostituiscono le province) e altre disposizioni finalizzate tutte all’immediata riduzione dei costi della politica, vale a dire la soppressione del Cnel, i limiti agli emolumenti degli organi regionali, l’integrazione funzionale delle amministrazioni parlamentari per eliminare l’inutile quanto costoso doppione degli uffici oggi esistente.
Quindi non sarà Renzi a governare con la nuova costituzione, ma chi verrà eletto dopo lo scioglimento dell’attuale legislatura.
La forza e la stabilità dei governi che verranno nella prossima legislatura deriverà, inoltre, non dalla attuale riforma costituzionale (che, se approvata, non cambia minimamente i poteri del governo) ma semmai dalla nuova legge elettorale qualunque sia la costituzione. Certamente se verrà approvata la riforma non vi sarà più il doppione delle due camere e sarà eliminata l’anomalia tutta italiana di due camere con uguali poteri, ma elette da un diverso elettorato e con diversi sistemi di elezione (altra assurdità dell’attuale costituzione del tutto dimenticata dai detrattori della riforma).
Dato che l’Italicum sarà modificato, semmai la discussione sui, tanto a sproposito, paventati rischi autoritari sarà rimandata al momento dell’approvazione della nuova legge elettorale, comunque vada il referendum. E non dubito che la promessa di modifica della legge sia mantenuta, perché tutti (PD compreso) la temono; e compresi anche i grillini, che trovano più facile godersi le poltrone stando all’opposizione senza assumersi l’onere gravoso di governare (Raggi docet) un Paese sempre più ingovernabile.
Perché questa è la prima conseguenza del “no”: tutto resterà come prima e si sarà costretti a subire per altri cinque anni governi frutto di coalizioni anomale e instabili; e ciò mentre il mondo continua a viaggiare a velocità ultrasonica, trasformando il nostro modo di vivere e creando insicurezza e precarietà in ambiti che credevamo stabili e intoccabili (soprattutto nel lavoro, nella scuola e nell’informazione) e sconvolgendo certezze che credevamo ormai acquisite, cambiamenti dei quali un sistema politico lento, farraginoso e instabile come il nostro non può stare al passo.
Sono andato a sentire il ministro Poletti e Oscar Farinetti (invitati in Cuneo dalle parlamentari cuneesi Manassero e Gribaudo). Entrambi hanno affermato una cosa giustissima: di fronte ai cambiamenti in corso la tendenza generale è il motto “difendere, difendere, difendere”, chiudersi in difesa del passato contro i cambiamenti in corso. Ma chi si difende soltanto è destinato a perdere. Il nuovo motto dovrebbe essere, invece, “uniamoci per costruire e attaccare”, “continuiamo pure a discutere e bisticciare, ma guardando avanti e non indietro, per costruire un mondo in cui i cambiamenti in corso si traducano da male in bene”.
La riforma non è certo perfetta, ma è un primo passo avanti in questo senso.
Mario Rosso