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"Questo anche da noi è il tempo della violenza individuale e collettiva"

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Carl Gustav Jung, grande maestro della psicologia, in uno dei suoi libri, narra di aver conversato con un capo indiano d'America, ricevendo le impressioni, comuni tra la gente delle tribù - circa la maggior parte dei bianchi. Si presentano sempre con il volto teso e lo sguardo fisso, atteggiato addirittura alla crudeltà. Le parole che hanno colpito particolarmente lo psicologo sono queste: "Cercano sempre qualcosa. Che cosa cercano? Ai bianchi manca sempre qualcosa. Sono sempre a disagio e inquieti. Non sappiamo cosa vogliono. Pensiamo siamo folli".

Secondo Eckhart Tolle, nel libro "Il potere di Adesso", che costituisce una guida spirituale alla ricerca dell'essenza della vita e del benessere dentro di noi, lo stress, caratteristico dei nostri tempi, è causato dall'essere "qui", ma dal volere essere "là". Ci si trova nel presente, ma si desidera essere nel futuro. Si tratta di una sorta di impazzimento collettivo, ben rappresentato da Charlot nei film in bianco e nero della prima metà del secolo scorso. Esplode così la violenza, conseguenza dello stress.

Gli esseri umani hanno ucciso più di cento milioni di loro simili nel XX secolo - osserva l'autore traendo il dato da World Military and Social Expedituris di Ruth L. Sivard del 1996. La violenza del mondo di oggi non è inferiore a quelle manifestatesi in ogni epoca storica e con ogni "civiltà". Ha raggiunto, con Hitler, Stalin, Pol Pot ed altri despoti, livelli inimmaginabili. Peraltro la ferocia degli attuali tagliagole, che affermano di agire in nome, per conto ed a gloria del loro Dio, nulla ha di diverso da quelle indicate. Non è da meno il dittatore siriano, anche se cerca in ogni modo di non dimostrarlo. Senza però riuscirvi.

Quello che stupisce, nel mondo di oggi, con particolare riferimento al nostro Paese, è la violenza individuale. Si traduce in stupri sempre più frequenti - anche se le statistiche li indicano in diminuzione. Nelle vendette "trasversali", come l'uccisione della figlia in odio alla madre, che aveva cessato la convivenza con l'assassino. Si tratta, in questo caso, della imitazione del sistema mafioso. Uccidere i parenti del pentito. Aveva suscitato particolare indignazione, allorchè venne strangolato e sciolto nell'acido il ragazzo immortalato in una splendida fotografia mentre montava a cavallo.

Il guidatore del furgone, che ha inseguito e travolto il motociclista con il quale aveva avuto una piccola discussione per ragioni "stradali", è diventato assassino della passeggera e feritore del conducente, sopravvissuto. Branchi di aspiranti violentatori percorrono di notte località isolate o anche frequentate, per soddisfare i loro istinti, forti della legge del branco, dove anche la pecora diventa lupo. Le convivenze cessate provocano sempre più frequentemente reazioni spropositate, talvolta non limitandosi allo stalking, ma alla eliminazione fisica di chi ha lasciato, addirittura con lo sterminio dell'intera famiglia.

Le leggi ci sono - ed assai severe - purtroppo è la loro applicazione che difetta. Troppo lunghi i processi. Troppo numerosi i gradi di giudizio. Troppo lontani dalla effettiva necessità sociale di avere una giustizia efficace, immediata, adeguata alla gravità dei delitti ed alle conseguenze per le vittime e la società. La presunzione di non colpevolezza fino al giudizio di Cassazione moltiplica i gradi di giudizio, impedisce di fatto la gestione dei processi, poichè tutti - o quasi - vanno in Cassazione, se dispongono di quattrini per gli avvocati.

Pochissimi - anche se oggettivamente responsabili - patteggiano, a meno che cerchino di evitare l'ergastolo. Accettano così una condanna a trent'anni. Dopo quindici avranno la semilibertà. Già dopo qualche anno di detenzione potranno fruire di permessi ed altri benefici, se terranno una condotta che li renda meritevoli e faccia presumere un loro reinserimento nella società, espiata la pena. Ciò che manca nel nostro ordinamento giudiziario penale è l'immediatezza della pena, oltre alla certezza della stessa.

Una condanna detentiva a distanza di anni dal reato commesso è inutile per il reo, per la società e per le parti lese. Da noi si attende la definitività della condanna e si resta in libertà, come presunti non colpevoli, salvo gravissimi reati. Tutto da rifare, come diceva l'indimenticabile campione ciclistico Gino Bartali, ai suoi tempi.

Piercarlo Barale

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