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Quella scarcerazione dei boss che lascia dubbi pesantissimi sul provvedimento

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - La notizia della scarcerazione di moltissimi boss mafiosi, camorristi e ’ndranghetisti - alcuni sottoposti addirittura al 41 bis - altri con il terzo grado di attenzione nella carcerazione, ha suscitato sorpresa, sconcerto, sgomento. Rabbia da parte dei tutori dell’ordine che ne avevano operata la cattura, dopo lo svolgimento di indagini delicate, pericolose, acquisizione di notizie riservate da collaboratori ed informatori. Pensiamo ai tanti testimoni che si erano esposti nei processi. All’enorme rischio per sé ed i familiari, di vendette, che potrebbero verificarsi con i condannati in libertà, oppure ai domiciliari. Ricordiamo le vittime di omicidi, torture, minacce, estorsioni, verso le quali si sono ribellati, dimostrando senso civico, fiducia nello Stato e nei suoi rappresentanti.

Dalle prime notizie, devastanti per la notorietà dei boss mandati a casa, quando si riteneva fossero una quarantina, siamo arrivati a 376 già scarcerati. Un’altra lista di circa 300 in attesa di raggiungere anch’essi le mura domestiche. Stupefacente il fatto che l’iniziativa della scarcerazione - causa virus - sia stata assunta dalla stessa amministrazione carceraria. Addirittura 63 hanno raggiunto casa senza aver chiesto il provvedimento. Probabilmente avevano ritenuto improponibile la richiesta. Non si comprende perché i direttori degli istituti di pena abbiano dato applicazione all’incredibile circolare del Dap del 21 marzo.provv

Gli organi di stampa, in questi giorni, si sono soffermati sui nominativi dei "pezzi da 90" mandati a casa, indicando le loro specialità criminali e i delitti dei quali si erano resi responsabili, con le conseguenti condanne. Tra i quali Salvatore Perrella, festeggiato a Napoli con fuochi artificiali adeguati alla sua posizione e riflettenti la gioia collettiva del rione. Spicca anche qualche “picciotto”, noto per crudeltà e puntuale esecuzione delle direttive dei boss. Uno è Franco Cataldo, carceriere e custode di Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido. Lezione terribile inflitta al padre, pentito e collaboratore di giustizia. Di questi tempi si usa il termine “helicopter money” per indicare la distribuzione a pioggia di denaro a fondo perduto agli asseriti danneggiati dal virus.

Nel caso in esame si può affermare che l’Amministrazione penitenziaria ha elargito scarcerazioni, anche se non richieste. Insomma, un "helicopter boss liberty". Le tre mafie tradizionali sono rappresentate nel provvedimento. Pare assente, per quanto a conoscenza, la quarta: la Sacra corona unita, che spadroneggia in Puglia già da parecchi anni. Non è dato sapere se c’è stato un equilibrio tra le tre e se è stato usato il manuale Cencelli, con le dovute ed opportune modifiche. Si stenta a credere che l’incredibile circolare sia stata emanata; che il ministro Bonafede non ne abbia avuta conoscenza. Tanto più che l’autore era suo amico e da lui collocato nella posizione apicale del sistema carcerario.

I direttori degli istituti di pena non paiono essersi posti dubbi circa la legalità sostanziale dell’intera operazione, a prescindere dalla formale legittimità della circolare a loro pervenuta. Agli ordini palesemente errati non si deve dare attuazione. I destinatari avrebbero dovuto comprendere l’illiceità di quanto andavano ad eseguire, porre domande, assumere informative. Pare sconcertante anche l’operato dei giudici di sorveglianza, che godono di autonomia decisionale. Di fronte ad una pioggia di scarcerazioni e concessioni di arresti domiciliari, qualche dubbio avrebbero potuto esprimere, prima di dare corso al “liberi tutti”.

Quanto avvenuto è di enorme gravità e ricorda i provvedimenti di scarcerazione massiccia di boss mafiosi da parte del professor Conso, ministro della giustizia, dopo gli attentati devastanti ordinati da Totò Riina. Disse –assumendosene la responsabilità - di aver deciso personalmente, al fine di evitare altre gravi azioni già programmate dai boss e di quasi immediata attuazione. Nel nostro caso, il ministro Bonafede sarebbe stato all’oscuro dell’operato del responsabile delle carceri, autore della circolare. Se così è, non ha diligentemente sorvegliato l’andamento del settore carcerario ed appare responsabile oggettivamente per l’operato del suo nominato ed amico.

Stupisce ancora di più, alla luce della disputa con il pm Nino Di Matteo per la mancata nomina dello stesso al Dap un paio d’anni or sono. Il ministro prima promise tale incarico ma poi imprevedibilmente si rimangiò la promessa e nominò l’autore dell’incredibile circolare. Il Coronavirus non pare essere stato motivo sufficiente per mandare a casa centinaia di boss pericolosi e in tanti casi sanguinari. Anzitutto un provvedimento del genere avrebbe dovuto passare al vaglio del Parlamento, trattandosi di una sorta di provvedimento di clemenza. Nonché, per l’estensione a quasi un migliaio di pericolosi criminali dell’eccezionale beneficio. I rappresentanti del popolo, nella sede parlamentare, avrebbero potuto valutare le misure da assumere in base all’incidenza del virus. Invece, all’insaputa o meno del ministro della giustizia – ciò verrà accertato -, le porte delle carceri sono state aperte e neppure il filtro dei giudici di sorveglianza ha impedito o limitato quanto avvenuto.

All’Amministrazione carceraria degli Usa non è venuto in mente di aprire le porte del supercarcere delle Montagne rocciose, che ospita il big del narcotraffico “El Chapo”, in compagnia di alcuni degli attentatori dell’11 settembre. Anche negli Usa il virus è molto diffuso e pone gli stessi problemi che da noi sono stati subito risolti nel modo incredibile illustrato dai mezzi di comunicazione. Tutto ciò che è avvenuto, l’intreccio con la vicenda Di Matteo, l’incredibile inadeguatezza del ministro, l’anomalia della circolare “liberi tutti”, non posso essere soltanto il risultato di circostanze ed eventi casuali.

Uscire dal carcere nonostante pesantissime condanne, rivestendo posizioni di primissimo piano nelle organizzazioni criminali, non è possibile senza la sussistenza di precise gravissime responsabilità da parte di coloro che tali decisioni hanno assunto, favorito e rese esecutive. La “retromarcia” da tutti auspicata, cioè “tutti di nuovo in carcere” non è di semplice né rapida attuazione. Dalla magistratura e dalla politica si attendono interventi immediati ed adeguati.

Piercarlo Barale

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