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Quell'appassionante viaggio alle radici della nostra Europa

MONTAGNA

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MARIANO ALLOCCO - Tre civiltà hanno alimentato l’anima del Mediterraneo. In Egitto è maturata la promessa della felicità immortale per le anime dei giusti e l’ipotesi monoteista mediterranea. Greci sono i fondamentali della scuola del pensiero occidentale e la convinzione di una scontata primazia occidentale in tutti i campi. Romano è il modello di gestione del potere che ha prevalso a livello mondiale.

La connotazione occidentale in termini di civiltà compiuta si affermerà nel XIII° secolo, con la resa dei conti violenta tra due ipotesi allora possibili e tra loro alternative. Una, quella attuale, che proveniva per discendenza diretta dall’impero romano, l’altra, quella d’OC, che affondava le sue radici in eredità culturali greche, mesopotamiche, nordiche, persiane; fu l’ultimo ponte lanciato verso un passato antecedente all’impero romano.

Una ipotesi di civiltà che, a parte la continuità linguistica della Lingua D’Oc, si colloca quasi completamente al di fuori della tradizione romana e che alla fine del primo millennio compare nei confini di quello che era stato il primo regno barbaro nell’impero, quello Visigoto. Fin dall’inizio si presentò come ipotesi alternativa a quella che poi ha prevalso, essa era l’ultimo ponte che idealmente univa un passato antico che si era affacciato al Mediterraneo, un passato che Roma aveva annichilito, una ipotesi che è stata stroncata sul nascere.

Allora non c’è stata, non si è cercata e forse non era comunque percorribile una alternativa allo scontro armato tra le due ipotesi che differivano radicalmente sui fondamentali che caratterizzano una civiltà.

Differenti erano la struttura di potere, l’ipotesi religiosa, il modo di intendere la ricerca della felicità, la scala dei valori etici, ce n’era a sufficienza per confliggere e conflitto fu. Altra era l’organizzazione della struttura di potere, basata sul concetto di Paratge, pari dignità nel rispetto dei ruoli e delle responsabilità. Altro modo di intendere la libertà di pensiero, ricerca di confronto tra idee diverse tra loro, confronto libero, aperto e dialettico, lasciando che ipotesi alternative circolassero liberamente e liberamente evolvessero.

Altra ipotesi religiosa, non il monoteismo mediterraneo, ma un dualismo che riporta alla Persia come riferimento culturale, il catarismo attingeva sia alla lettura religiosa persiana che al pensiero platonico, alle dottrine dei Misteri greci.

Altro modo di affrontare la vita, la felicità era da ricercare in questo mondo, l’idea della “Jòi” si lega al pensiero di Epicuro e non alla ortodossia cristiana, che promette ai giusti la felicità in un altro mondo. Altra l’impostazione dell’etica personale e di quella sociale, nella Canso de la Crozada il Conte Raimondo, per le decisioni, consulta sempre “li cavalier el borgez e la cuminaltaz” di Tolosa e il concetto di “Pretz”, richiama alla mente un modo orientale di intendere il mettersi al servizio del proprio Signore e della società, atteggiamento in qualche misura riconducibile al “Bushido”, lo stile di vita del samurai, codificato nel XVI° secolo.

La grande differenza, l’insormontabile e inaccettabile ostacolo era però la libertà che caratterizzava la circolazione delle idee, libertà che da sempre è motivo di apprensione e ansia per il potere, sia civile che religioso, per sua la innegabile valenza destabilizzatrice.

Questo modo di intendere la libertà era la debolezza strutturale di quella civiltà, “Le idee non vi si scontravano, esse circolavano liberamente in un ambiente in certo qual modo continuo. È questa l’atmosfera propizia all’intelligenza; le idee non sono fatte per lottare”1.

Il confronto dialettico era libero, si alimentava di un contesto destrutturato, in cui tutti i rapporti facevano riferimento a modelli organizzativi non gerarchici, modelli che ora chiameremmo di tipo reticolare, un modello organizzativo che non ha mai avuto come riferimento il concetto di Stato-Nazione.

Questa civiltà non elaborò mai il concetto di lotta come necessità essenziale per la sopravvivenza, non pensò mai a organizzare la violenza come uno dei tasselli indispensabili alla società e non seppe perciò confrontarsi con la violenza che arrivò dall’esterno e ne fu cancellata.

“Quali frutti ha portato una civiltà tanto ricca di elementi diversi? E quali avrebbe potuto portarne? L’ignoriamo; l’albero è stato tagliato.”

La Canso de la Crozada è forse la testimonianza più efficace e viva di questa ipotesi di civiltà che è stata allora uccisa con la Crociata Albigese, scontro inevitabile a una lettura attuale della storia. Per ogni conflitto c’è un “casus belli” e qui esso è stato trovato nella lotta contro l’eresia, eresia di cui però non si trova quasi traccia nella lettura della “Canso”, il titolo dell’opera parla sì di Crociata, ma di guerra di religione non rimane traccia nell’opera, essa è stata guerra di affermazione di un potere che si è imposto allora in Europa e ora si sta affermando nel mondo intero.

Il Conte di Tolosa difendeva in modo convinto sia “lo Crestianesme” che “lo lenguatge” e non menziona mai l’eresia catara. Per le parole occitane “Joi, Pretz e Paratge” oggi non ci sono le equivalenti che identifichino insiemi di valori sovrapponibili nelle lingue romanze moderne.

La lingua è strumento per comunicare, ma occorre avere coscienza compiuta, matura e comune di un valore perché si formi e sia reperibile a livello di linguaggio la parola che ne rappresenta il significato; non manca la traduzione ora, manca innanzi tutto la coscienza del significato, non si possono comunicare informazioni su valori sconosciuti. Per Joi, Pretz e Paratge rimane una traccia residuale, ma allora questi valori facevano dei cattolici e dei catari del sud della Francia un unico popolo uniti dal “lenguatge”, dalla lingua intesa come insieme di valori in cui riconoscersi, questo era il fondamento di una identità riconosciuta e condivisa e per la quale decine di migliaia di persone furono uccise.

Quel mondo non era attrezzato a resistere a un apparato di gestione del potere basato sulla violenza come affermazione della ragione, l’attuale Europa discende per via diretta dai vincitori di allora.

Sempre attuali i versi di Virgilio '...tu regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes), pacique imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos'2, 'Ricorda o Romano, di dominare sovranamente i popoli; queste saranno le tue arti, stabilire norme alla pace, risparmiare i sottomessi e debellare coloro che ti si oppongono”. Ma rimane traccia di una alternativa allora possibile, è una eredità che non poteva soccombere alla violenza perché sfugge e sfuggirà sempre ai fendenti: è l’attuale concezione dell’amore, la crociata non ha potuto cancellarla, e ora appartiene all’umanità.

Nel Simposio Platone ci espone l’essenza dell’amore “…l’Amore non fa né subisce ingiustizia alcuna, né tra gli dei, né tra gli uomini. Egli invero, benché soffra, non soffre a causa della forza, difatti la forza non può afferrare l’Amore e quando egli agisce, non agisce di forza…”.

L’Amor Cortese, il “fin amor”, da continuità all’idea dell’amore platonico, oggi non possiamo pensare in modo disgiunto le due forme d’amore, un ponte ideale unisce le due visioni.

Mariano Allocco

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