SALUZZO
PIERCARLO BARALE - A Busca, in provincia di Cuneo, negli anni ’30 del secolo scorso, venne celebrato un matrimonio notturno con qualche analogia con quello tra Renzo e Lucia narrato da Alessandro Manzoni. Ne posso raccontare perché nonno Carlo fu testimone delle nozze. Mio padre Dante me lo narrò quando leggevo il romanzo manzoniano e lo commentavamo a scuola. Il figlio di un importante personaggio della borghesia colta – forse con una spruzzata di massoneria locale - della capitale del marchesato saluzzese si innamorò perdutamente della splendida figlia di un macellaio buschese. Si incontrarono, si frequentarono e decisero di unire le loro vite.
La resistenza dei genitori del promesso sposo fu totale. Si opposero con il parroco, ma non trovarono un Don Abbondio. Il padre – per quanto ricordo – era un professore, conosciuto e stimato. Svolgeva studi sul dialetto piemontese utilizzando il quale scriveva apprezzate poesie. A quei tempi nel contesto di ex marchesato e attuale vescovado, con la società un po’ fuori dal tempo, molto cristallizzata, parve inaccettabile alla famiglia del promesso sposo, acquisire come nuora, la figlia di un macellaio, pure di bassa macelleria.
Infatti il predetto non disponeva di un negozio sempre aperto, ma acquistava per pochi spiccioli animali, bovini e suini, morti per incidenti, non per malattie. Dopo il controllo dal veterinario comunale, li poteva vendere lavorati. Apriva il locale, apponeva sul muro a lato dell’ingresso un asciugamano bianco con strisce rosse. Per il tempo necessario, uno o due giorni, vendeva al dettaglio. Gli acquirenti erano gente poco abbiente che poteva concedersi solo in tale occasione qualche bistecca oppure un pezzo da bollire. Le condizioni economiche del macellaio erano vicine all’indigenza, poiché le disponibilità di animali incidentati divenivano sempre più rare per l’utilizzo di medicinali e interventi tempestivi di veterinari.
La bassa macelleria è ora scomparsa. Il promesso sposo era un brillante laureato, alto, di ottima presenza. La promessa sposa non era da meno, laurea esclusa. Meritava tanta attenzione anche per l’ottimo carattere. In quel tempo non si parlava più di dote, salvo che nelle famiglie dell’alta borghesia o della semi scomparsa nobiltà, dove i matrimoni erano più affari che affetti. Nel caso nostro, non venne neppure presa in esame come ipotesi l’impossibile dote. Probabilmente per la famiglia saluzzese questa dote zero costituì un ulteriore punto negativo idoneo ad avversare le richieste del figlio di convolare a nozze.
Il matrimonio venne celebrato dal parroco di Busca nella primissima mattinata, ancor prima dell’allora molto frequentata messa prima, quella delle cinque e trenta. In piena nottata sposi e testimoni, tra i quali nonno Carlo, si trovavano in parrocchia, quasi come cospiratori. Nessun Don Rodrigo aveva minacciato il ministro del culto, volendo portare la promessa sposa al Castello del Roccolo. La cerimonia fu brevissima e tutto filò liscio. Come quasi sempre succede, una talpa, magari nascosta nel buio di un confessionale, diffuse la notizia. Che per altro non ebbe alcun rilievo, né a Busca e neppure a Saluzzo, per quanto nonno Carlo raccontò a mio padre.
Quando mi venne narrata la vicenda, mi si fissò nella mente e vi restò. Ebbi occasione di conoscere il figlio dello sposo e anche di frequentarlo, poiché svolgeva la mia stessa attività professionale. Non gli feci mai cenno dell’avventuroso matrimonio dei genitori, ma ebbi l’impressione che fosse a conoscenza dell’opera prestata da nonno Carlo, testimone della sposa. Ci trovammo talvolta avversari in controversie civili al tribunale di Saluzzo e Cuneo. Questo forse impedì di scambiare confidenze molto personali. Non lo potremo più fare".
Piercarlo Barale