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Quel giorno di Pasqua del 1964 in cui diventai principessa in casa dei miei futuri suoceri a Bra

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - E' il mattino di Pasqua del 1964 a Bra, apro gli occhi e i raggi del sole mi salutano, filtrano impertinenti dalla tapparelle non completamente abbassate.

Il primo pensiero: oggi sono invitata a pranzo dai mie futuri suoceri.

Giorno indimenticabile. I mesi da quella sera nebbiosa e fredda di novembre, in cui Marzio, a modo suo, mi fece la dichiarazione “Ci mettiamo in società?” erano volati, l'amore per lui seguiva le stagioni, sempre più caldo, sempre più ricco di colori, di sfumature, di profumi inebrianti.

Quello stato di grazia mi pervadeva e l'ultimo pensiero la sera era che il giorno dopo avrei rivisto Marzio. Speravo che la notte scorresse veloce, e che il sole messo a letto la luna, facesse capolino, così aranciato per poi esplodere di luce e di tepore.

Balzo giù dal letto a i piedi nudi sul marmo freddo e scivolso, incerato all'inverosimile da mamma Gina, una pista di pattinaggio. Ma quando mai trovo quelle ciabatte dispettose?

Rinuncio, ho il disprezzo delle conseguenze, e pattinando, professionista in scivoloni, raggiungo la finestra, illesa mi aggrappo alla cinghia delle tapparelle.

Piano, piano le avvolgo, è un invito al sole che non si fa pregare, colora la stanza di arancio, con coni di luce che brillano sugli oggetti.

Che magia!

Mia sorella Giuliana, dormigliona e brontolona, non apprezza la poesia del momento, si rivolta tra le lenzuola sbuffando: “Torna a letto! E poi scalza sul marmo, se ti vedesse babbo.”

Ma babbo non mi vede, dorme nell'altra stanza, senti come russa.

Presto, presto, sono le 8, è tardi, apro l'armadio: “Che mi metto?” Le ante si spalancano da sé sbuffando: “Noi non ne possiamo più, troppi abiti, dobbiamo lottare per restare chiuse. E hai il coraggio di non sapere che metterti?”

La gonna di vigogna grigio chiaro, dritta a tubo, fasciante con uno spacco imbarazzante, si fa avanti. E le maglie gemelle, tinta geranio, una con le maniche corte e l'altra maniche lunghe abbottonata davanti, si propongono allegre e vanitose.

Apro la confezione di calze di nylon, nuove per l'occasione, avvolte su un cartocino, mi scivolano tra le mani, e mi compiaccio di quell'orrendo colore mandarino, ma tanto di moda.

Scarpe tacco 12 con i listini incrociati, pelle morbida di un blu marino, avvolte in carta velina escono dalla scatola prepotenti: “Era ora che arrivasse l'occasione per indossarci!”

Adesso in bagno, prima che si sveglino i miei genitori, e poi per una colazione veloce, giusto due squallide fette biscottate e un sorso di thè, l'amore toglie l'appetito, nello stomaco altro che farfalle, alberga uno zoo.

Trucco, eyliner nero contorna gli occhi, mascara applicato senza risparmio, le ciglia pesanti come serrande, labbra rosso fuoco.

Sono pronta, agguanto la borsetta in nappa blu con tracolla fine, e mi mi accomodo in salotto ad aspettare.

Babbo esce dalla camera da letto, mi vede seduta in punta alla poltrona, con le gambe pronte a scattare.

Scimmia, il soprannome più affettuoso, che fai alle 9 del mattino già vestita e truccata?”

-Aspetto Marzio, passa a prendermi alle10, siamo a pranzo dai suoi genitori.

Babbo Mario è in vestaglia da camera, con ciabatte in pelle, sempre composto, elegante, non un capello fuori posto, anche appena alzato.

Si passa le mani sul viso, con una smorfia e una tiratina su di naso: “Ecco, di nuovo la barba da radermi.”

Arrivano le 10, il campanello non ha ancora suonato, ed io sono già in posizione di partenza, proprio come gli atleti sui blocchi, in attesa dello starter.

Finalmente, eccolo che trilla, rispondo al citofono, “Io vado, è arrivato Marzio!”

Mi raccomando - babbo si affaccia dalla porta del bagno con il rasoio in mano, è così buffo con metà viso ancora insaponato: “Vai piano per le scale, e comportati bene!”

Marzio mi aspetta accanto alla macchina, mi apre la portiera, mi lancia uno sguardo ammirato, ma non fa commenti. Non è tipo da smancerie, lui. Le occhiate sono molto eloquenti!

Mi guardo attorno, la primavera è la più bella e profumata che abbia mai visto.

Sorrido e saluto con la mano impertinente la zitella del condominio, pettegola e maligna, che nascosta dietro la tendina della finestra, crede di non essere vista, ma io sento il suo sguardo su di noi felici e innamorati. E oggi mi fa tenerezza.

Arriviamo in via Turati dove abitano i miei futuri suoceri, saliamo le scale di corsa, da giovani le scale si volano per non perdere tempo.

Marzio spinge la maniglia di ottone lucida, la porta di casa Avalle è sempre aperta.

Siamo noi!” strilla Marzio che si sostituisce al campanello.

Ed entro in un mondo di fiaba: un corridoio lunghissimo, e da ogni stanza sbucano i componenti della famiglia. Iolanda, avvolta in un abito di seta, fantasia verde e blu griffato Kent Scott, lo stilista di grido.

E' dolce, accogliente, materna, e mi abbraccia forte con energia, quella che le occorre per mandare avanti un'attività di confezioni di fiori in panno, e accudire anche quattro figli maschi.

Suo marito Pippo, che si occupa dell'amministrazione dell'attività, è alto, snello, elegante, stiloso, con modi da vero gentelman, mi prende la mano con delicatezza e la sfiora con le labbra. “Signorina, lei è il fiore più bello che mio figlio potesse cogliere.”

Ovunque nella casa ci sono fiori di panno, le creazioni di Iolanda, c'è armonia, colore e calore.

Mi fanno sentire una principessa, io, che a casa Nemolis in segno d'affetto sono chiamata scimmia.

Fiorella Avalle Nemolis

 

 

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