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Quando a Natale la mamma di Marzio a Bra faceva i fiori in pannolenci

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Quel giorno di Natale che fu indimenticabile. Era una sera nebbiosa del 1963. Marzio, il mio futuro marito ed io, appoggiati al parapetto del ponte Stura, ce ne stavamo a guardare l'acqua scorrere. Quando Marzio se ne uscì con: "Ci mettiamo in società?”, e poi mi baciò. Imparai da subito a capirlo. Era la sua dichiarazione d'amore. Poche parole, quasi commerciali, ma con un significato molto profondo. Oggi mi basta un'occhiata, ma a volte esagera, le comunicazioni pratiche che richiedono un minimo di parole ormai si riducono solo più a gesti o suoni. E non soffre di raucedine. E' una sua pigrizia vocale.

Ho un marito onomatopeuco. Lo definerei "l'uomo fumetto". E non è una battuta, da giovane salutava con un fumetto di cartoncino appoggiato all'angolo della bocca: “Ciao!” da un lato, e dell'altro: “Come va?”. Così, per necessità, ho dovuto sviluppare un sesto senso: l'intuizione. Ho acquisito un dottorato in materia di traduzione dal gesto alla parola. Mi piaceva anche questo di lui: l'originalità. Ero nella fase delle farfalle nello stomaco. I tuffi al cuore solo a vederlo da lontano. Anche se era un puntino all'orizzonte, il mio fiuto da cane da tartufi mi allertava: ecco, è in arrivo Marzio!

E poi tutto mi piaceva di lui, anche le sue spiegazioni tecnologiche, scientifiche, o meglio, me le facevo piacere. Pur di sentire la sua voce. Le stesse che, ora quando esagera, infettata dal mutismo, tronco col gesto delle forbici: taglia! Era tutto ed è tutto, tranne che un romantico. Eppure l'amore sapeva e ancora sa esprimerlo, con i gesti, ma sopratutto con le attenzioni. Parlano ancora di più delle parole. Sì, va bene, cosa c'entra il Natale indimenticabile?

La mattina di Natale del 1963 si presentò a casa mia. “Sono venuto per accompagnare Fiorella a fare una passeggiata". E mamma Gina: “Veramente Marzio, (vigeva ancora il Lei) l'avevo solo pregata di riaccompagnarla a casa quando la vedeva in giro". “Si, ha ragione signora Nemolis. Ma io prevengo. La vengo a prendere e poi la riaccompagno". Ingegnoso il ragazzo. E poi, al bisogno gli tornava la favella! Sicchè, infilate le pedule (scarponcini preistorici che a malincuore offendevano il mio senso estetico), infilai anche il cappotto e la cuffia di lana millecolori con pon pon.

Fuori le strade innevate non erano proprio un'autostrada, e il pericolo ghiaccio era incombente. “Andiamo a casa mia. Ti va?”. Non avevo ancora risposto: “Così conosci i miei genitori”. Deglutii. Non mi uscì parola. Come, ero già contagiata dalla pigrizia verbale? No, no, ero solo stupita. Questo quanto corre! Neanche un mese fa mi chiede di fare società, la firma con un bacio e ora mi porta dinnanzi al "notaio": presentandomi ai suoi genitori. Alla faccia! Poche parole, ma tanti fatti. Ci avviammo. In silenzio. Mi prese la mano, quel gesto valse più di tante parole. Imparai subito a tradurre: “Vieni, vieni con me sarai sempre al sicuro. Non avrai più paura di nulla. E Dio solo sa quanta ne avessi! E tutto ciò che ti sembrerà impossibile, diverrà possibile".

Meglio di una seduta psicoanalitica. Dal quel momento compresi che tutti i miei progetti di ragazza si stavano dissolvendo. Evaporati come acqua in un pentolone ribollente sul fuoco. Non mi interessava più crearmi una vita indipendente. Quella che ora si chiama vita da single. Il '68 era alle porte. La rivoluzione. La voglia di cambiare il mondo. Mi vedevo contestare (in famiglia già lo facevo), ma nella società, nel mondo del lavoro. Quello che ancora non conoscevo. Insomma, il mio progetto era cambiato. Fare questa benedetta società con Marzio, società di vita. E seguirlo. Seguirlo anche all'inferno.

Così quella mattina di Natale, affondando i piedi nella neve e barcollando sul ghiaccio, da via Vittorio Emanuele 21, dal famoso palazzo del dottor Vaira, ci recammo in via Turati 39. La casa dei miei futuri suoceri faceva parte di un grande fabbricato, a Bra, dove c'era l'azienda della famiglia Lorenzon, "Adi" arte decorativa italiana, produttrice di costumi per carnevale e cotillons per le feste sulle navi. Mia suocera Iolanda era una Lorenzon, sposata in Avalle e nello stesso stabile aveva un laboratorio di fiori di panno lenci: Fiorpan. Lei creava e mio suocero Giuseppe, per i famigliari Pippo, si occupava della parte amministrativa.

Ed eccoci alle dieci della mattina di Natale del 1963. La porta di casa degli Avalle è di legno, molto vissuta, con una vistosa maniglia di ottone. C'è il campanello, ma non serve. Marzio spinse la maniglia esterna ed entriamo. L'urlo alla Tarzan funge da campanello: “Sono io!” Quale io, sono in quattro fratelli: Eraldo, il maggiore, Marzio, Ezio e Tullio. Ma la mamma riconosceva i suoi polli dal tono della voce. Arrivò una voce femminile: “Marzio, siamo in salotto!".

Varcata la soglia, dal fondo di un corridoio lunghissimo, 17 metri, ci venne incontro Iolanda. Nel corridoio piuttosto buio spiccava già un sorriso così prepotente, così lucente da aprire il cuore. Solo dopo vidi la figura della mia futura suocera: un volto dai lineamenti delicati, carnagione chiarissima e uno sguardo penetrante, ma molto delicato. Già vedevo tenerezza in lei. Com'era possibile in cosi poco tempo? Mi prese le mani tra le sue, mani forti, di chi lavora duro. Una creatura speciale. Da subito la chiamai mamma Iolanda, il termine suocera l'avrebbe sminuita. Mi accolse con spontaneità e mi tolse da ogni imbarazzo. Mio suocero Pippo fece altrettanto, e mi guardò  con tenerezza come si guarda una bambina. “Ma signorina Fiorella, lei è giovanissima e anche molto graziosa!” e guardò suo figlio Marzio con uno sguardo di approvazione che io non colsi.

Nella sala c'era un bellissimo presepe, e tutto attorno c'erano decorazioni natalizie. Non ne avevo mai viste così, erano speciali. “E' mia mamma che le fa. Vedi, è lei che crea i fiori di panno per le aziende dolciarie: La Ferrero, la Tobler, la Zaini. Produce decorazioni per le scatole di cioccolatinie e per le uova di Pasqua". Mi accompagnò nel laboratorio: un mondo colorato di creatività. Non sapevo dove guardare. Tante scatole che contenevano i pezzi di panno per la produzione. Fiori coloratissimi di panno lenci ovunque. Una serra!

L'emozione mi prese, dovetti sedermi. “Fiorella, venga quando il laboratrio è in funzione. Vedrà le lavoranti all'opera. E' divertente vedere nascere un fiore, anche se è di panno lenci". Mi avvolse una piacevolissima sensazione di calore e di un mondo tutto da scoprire. Diverso dal mio di ragazza con tanti sogni: indipendenza, nuovi incontri, viaggi. Diversi i viaggi che mi si prospettavano ora, erano tra armonia, creatività, arte di vivere, che neanche la più fervida fantasia potevano suggerirmi. Entrai in un mondo che mi avrebbe condotto, a mia insaputa, alla crescita, alla consapevolezza, alla creatività e sopratutto alla libertà di pensiero.

Come proseguì l'incontro con Mamma Iolanda e papà Pippo? Proseguì a lungo, anni e anni di condivisione di momenti felici, la nascita di Sara, la loro prima nipote. E anche di momenti tristi, quando le persone care che aiutano a crescere se ne vanno. Non si è mai cresciuti abbastanza per la perdita. Ma il Natale rinnova anche tanti momenti felici. Quello del 1963 lo fu moltissimo, entrai a fare parte della famiglia Avalle.

Fiorella Avalle Nemolis

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