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Prescrizione, luci e ombre sulla riforma Bonafede: la questione dei processi penali

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - La tanto annunciata riforma del processo penale molto difficilmente vedrà la luce. I penalisti si opporranno a qualunque ipotesi che possa comportare la possibilità, per i loro attuali e futuri clienti, di modifiche peggiorative. Si interpreta, da parte di taluni di loro, come dovere, anche deontologico, di fare in modo che i difesi - di oggi e di domani - continuino a godere della quasi totale impunità. Come avviene con la legislazione attuale, formatasi a seguito del ventennio berlusconiano.

Leggi ad personam, contra personam, depenalizzazioni, riduzione di sanzioni per gli stessi reati; depotenziamento della macchina penale anche con il mancato adeguamento degli addetti agli uffici del settore; errata distribuzione delle sedi giudiziarie e dei giudici; amnistie, indulti, impunità per i reati edilizi e le conseguenti demolizioni mai eseguite; abbandono di fatto del perseguimento dei reati fiscali, con tetti di impunibilità assurdi e scoordinamento tra uffici giudiziari e organi inquirenti a livello amministrativo. Vi sono stati vent'anni di costanti picconature al sistema: colpevolizzazione della magistratura - toghe rosse - giudici persecutori dei politici, complottisti contro il potere legislativo ed esecutivo.

Pare sia avvenuto, con le debite differenze, un fenomeno che ha qualche analogia con ciò che si è verificato nel ventennio fascista. I balilla destinati ad aumentare i milioni di baionette necessarie per ottenere l'impero, sono diventati in larghissima parte convinti fascisti. Non per meditata adesione propria, ma a forza di propaganda costante, dalla nascita in poi. La coscienza civile è rinata solo con la Resistenza e dopo la caduta del regime, ma i guasti sono stati terribili, tra campi di sterminio e foibe.

Per rimettere in sesto il paese ci è voluto il miracolo economico, propinato dal sostegno interessato dell'America. Ci ha sfamati ed aiutati, ma poi ha interferito pesantemente, provocando una sorta di mobilitazione della destra, l'eliminazione di Mattei, l'incarcerazione del Prof. Ippolito. In tal modo addio al sogno di autonomia energetica e di presenza sul mercato internazionale dell'energia ed addio al nucleare. Con la sottomissione alle sette sorelle, il mancato sviluppo delle nostre capacità imprenditoriali e di ricerca. Addio alla impostazione democratica delle fabbriche attuata a Ivrea da Adriano Olivetti. Puzzava troppo di comunismo. Ed addio alla democrazia in fabbrica, con Valletta alla Fiat, che ordinava schedature dei dipendenti e si sbarazzava di quelli ritenuti comunisti. Parsa sotto controllo Usa, con servizi deviati, Licio Gelli, stragi eseguite con i fascisti.

Più politica che mafia, allora operante prevalentemente al sud. Dove aveva trovato, nell'immediato dopoguerra, la riconoscenza americana per l'aiuto prestato in occasione dello sbarco in Sicilia. In questo secondo ventennio - salvo qualche sprazzo prodiano, l'impunità è stata assicurata all’allora premier. Si definiva perseguitato, mentre di fatto era destinatario degli interventi della magistratura, stante l'obbligatorietà dell'azione penale. I suoi legali cercavano di protrarre i processi, rinviare le udienze con espedienti di volta in volta più ingegnosi, compresa la famosa uveite. Probabilmente era vera, ma non tale da impedire la presenza alle udienze.

In uno dei tanti processi, la sera precedente l'udienza di discussione, il parlamento modificò il titolo del reato per il quale si procedeva, di fatto depenalizzato. La mattina, in apertura di udienza, il difensore depositò un telegramma che annunciava l'intervenuta non punibilità per il reato per il quale il premier era stato tratto a giudizio, dopo lunghissimo iter. In molti casi si gridò al complotto, quando non c'erano prove di innocenza. I giornali e le reti televisive del premier amplificarono l'inaffidabilità dei giudici fino a contestare il colore dei calzini di un giudice. Il colore non consueto avrebbe potuto significare carenza di equilibrio e di imparzialità.

Molti giovani ed anche non più giovani, hanno vissuto il ventennio berlusconiano e recepito pur inconsciamente le conseguenze. Ancor oggi paiono ritenersi portatori di una generale idea di diffusa impunità. Corroborata dal principio costituzionale della presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio - che non avrebbe ragion d'essere con il rito anglosassone ora vigente. Sicché nessuno patteggia, poiché spera in un processo favorevole, nonostante schiaccianti prove. La prescrizione ha garantito l'impunità per l'ex premier per circa una quindicina di processi. Ha però evitato le condanne per le morti da amianto, i disastri nelle fonderie, e quelli ambientali.

Si cerca ora un rimedio di fronte alla intervenuta eliminazione della prescrizione: legge vigente, firmata Bonafede. Se ne evidenziano talune incongruità, prima tra tutte la non intervenuta modifica della durata dei processi. Vi sono ragioni da ambedue le parti, poiché la Costituzione prescrive che i processi debbano svolgersi con una ragionevole durata. Purtroppo, parti del Paese, soprattutto chi è più aduso a delinquere, vorrebbero, come scrisse l'autore del "Gattopardo", modifiche tali da lasciare le cose come stanno. In sostanza, va bene così.

Piercarlo Barale

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