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Portici, cioccolato e scarpette di vernice: la mia Pasqua da bambina a Cuneo

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - La Pasqua e le mie scorribande d'infanzia a Cuneo, la "città dei portici", di quando percorrevo quell'infinito e affascinante corridoio del centro storico che sfocia nella maestosa piazza Galimberti. Ero soggiogata dal movimento elegante degli archi, quasi come danzassero tra i solidi pilastri, incrollabili sentinelle del via vai.

Entravo in un modo sospeso, in un paradiso di profumi e balocchi, dove la fragranza sprigionata dalle caffetterie e dai forni artigianali solleticava il palato, mentre la bellezza dei maestosi edifici storici stimolava la gioia del senso estetico. Avvolta dall'atmosfera gioiosa del preludio alla festa, calzavo finalmente le mie scarpette nuove di vernice nera che scricchiolavano sul pavimento un po' sdrucciolevole.

Un passo dopo l'altro, mi lasciavo sedurre dalle vetrine delle pasticcerie, un tripudio di golose bontà con appariscenti uova pasquali, agghindate con zuccherose decorazioni floreali, o con composizioni di paesaggi primaverili e agresti, che rappresentavano le cartoline augurali illustrate di allora.

L'aria frizzante e dispettosa di primavera diffondeva folate che sapevano di cioccolato ed io immaginavo il maestro pasticcere intento a giostrare con il cioccolato, protetto da un avvolgente grembiule color latte lungo fino a toccare terra, mentre sul suo capo svettava un gigantesco cappello pari, per importanza, alla corona di un re, che anziché impugnare lo scettro, brandiva la spatola con gesti precisi e movenze simili alla danza, per fare scivolare dalla ciotola quel liquido scuro e lucente per colmare in modo uniforme ogni angolo dello stampo.

La maestria che dà vita all'uovo di Pasqua racchiude in sé un cosmo in miniatura, da un prelibato guscio traboccano promesse e desideri che profumano di innocenza.

E' dolce il ricordo di me bambina quando i portici di Cuneo mi abbracciavano come emblema di protezione e di felicità.

Fiorella Avalle Nemolis

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