CUNEO
PIERCARLO BARALE - Promoveatur ut amoveatur: promosso e rimosso, per i Romani. Meno prosaici, piemontesi e lombardi, nei rispettivi dialetti: gaute dai pé; fôra d’j ball. Miravano - i Romani - all’allontanamento immediato della persona sgradita. Non c’era appello. Esecuzione immediata dell’ordine. Altro raffinato metodo romano era l’esilio, magari dorato. Nulla però a che vedere con il risiedere nella caput mundi: città che viveva di trionfi consolari ed imperiali. Spettacoli al Colosseo, con gladiatori, belve ed anche battaglie navali. Per il popolo, che vi assisteva gratuitamente panem et circenses. Sugli spalti venivano distribuiti in abbondanza cibi e bevande, mentre nel circo si dava spettacolo. Il tutto a spese, di volta in volta, di generali vittoriosi, aspiranti consoli, imperatori vincitori di importanti battaglie.
A Dante toccò l’esilio a vita, avendo incontrato poco favore dai fiorentini quando si era occupato di politica e di pubblica amministrazione. Tra guelfi e ghibellini è sempre stato difficile governare Firenze. Le fazioni si alternavano alla guida della città. I vincitori di oggi esiliavano quelli di ieri. Alla fine si dovette cercare un podestà proveniente da fuori, dove sarebbe ritornato a fine mandato. Se si fosse arricchito illecitamente, sarebbe passato dal palazzo della Signoria al boia. Maniere più spicce, che comprendevano solo l’amoveatur e non il promoveatur, erano stabilite scrupolosamente dai romani nelle istruzioni ai boia. Torture adeguate ai reati comuni o politici, che portavano poi alla condanna capitale.
I cittadini romani, che proclamavano con orgoglio, sia in patria che all’estero: civis romanus sum, avevano il privilegio di evitare la crocifissione, riservata a schiavi, prigionieri di guerra e stranieri incappati negli efficienti tribunali o nelle decisioni immediate. Assunte, in tempo di guerra, da consoli o comandanti di legioni. La Sacra romana rota torturava eretici e scismatici, tendendo a farli abiurare. In difetto, li eliminava con il loro corpo. Satana vi si era insediato e doveva essere cacciato. Galileo Galilei effettuò un ravvedimento operoso. Non fu l’unico studioso o scienziato a farlo, per evitare il rogo. Con la catasta di legna ardente, talvolta previa impiccagione, come fu per lo scomodo Savonarola, il demone veniva sconfitto. Nulla a che vedere con la predicazione di Cristo. Fratellanza e perdono vennero dimenticati.
I roghi di streghe ed eretici cessarono solo alla fine del ‘700, favorite ovunque dai regnanti, che si proclamavano cattolici. L’aggettivo suonava favorevole per il popolo ignorante ed osservante. Il ricordo è ancora ben vivo nelle terre valdesi ed anche in Liguria, nel comprensorio di Triora. I dittatori - fra i più recenti Stalin, Mussolini, Hitler, Pinochet, Franco, Pol-Pot, Hoxa, Ceausescu, i vari tirannelli africani, i generali argentini assassini – compilavano liste di proscrizione per gli avversari meno pericolosi. Per i contrasti ideologici ed i concorrenti per il potere c’era solo la pena di morte. Taluni cercarono di sfuggirla con l’esilio volontario. Stalin e Mussolini, per restare agli ultimi nel tempo, colpirono mortalmente esiliati ritenuti pericolosi per i loro regimi.
I rivoluzionari francesi, dopo la Bastiglia, si ghigliottinarono a vicenda. L’iniziativa venne assunta alla ricerca della perfetta applicazione dell’ideologia predicata. In realtà per il raggiungimento personale del potere assoluto, che avevano combattuto ed affermavano di dover ancora combattere. I rivoluzionari, ovunque, sono stati ritenuti controrivoluzionari dai loro seguaci. Il detto - chi di spada ferisce, di spada perisce - è sempre attuale. Si narra - forse è solo una leggenda - della morte per infarto o trombosi cerebrale, di Stalin, avvenuta poco dopo aver appreso dell’esaurimento della famosa lista di 1500 controrivoluzionari con l’uccisione dell’ultimo indicato. Taluni in Russia, altri in esilio. Implacabilmente, vennero eliminati dal dittatore sanguinario. Spesso uccisi da appartenenti alla lista medesima. Per questi casi, che sono stati parecchi, è attinente il detto romano: mors tua, vita mea. Omicidi senza spesa ed impegno per l’esecuzione. Tutti gestiti in house, come oggi usa dire. Andando nei particolari, la leggenda descrive Stalin accasciato prima sulla sedia e poi stramazzato al suolo al momento della cancellazione, sulla lista, dell’ultima vittima. Forse i particolari non sono quelli. Di certo nessuno è stato in grado di riferire, perché dall’ufficio del dittatore stavano tutti alla larga. Prudenza condivisibile.
Salvini patrocina - con la consueta determinazione volgarotta ed indelicata - pro domo sua - l’elevazione - mi scuso con Beppe Grillo che pare abbia il copyright del termine “elevato”, da sé attribuitosi - di Draghi al Quirinale. A dire del leghista, ciò dovrebbe avvenire a furor di popolo, alla scadenza del settennato di Mattarella. Il capo leghista si era bruciato la possibilità, allora assai concreta, di raggiungere la poltrona di Palazzo Chigi. L’allora ministro dell’interno, nel periodo ferragostano, non fece come prassi consolidata dai titolari del ministero: restare a Roma per monitorare il delicato periodo per la tutela dell’ordine pubblico. Non gli ha portato bene. Pensò di abbattere il governo ed agguantare la poltrona più alta, lasciando quella ministeriale assai poco utilizzata fisicamente.
La propaganda ad uso personale e di partito - che è personale - lo aveva sempre visto vincente. Ma al Sud non è andata così. Dopo una fiammata iniziale, il partito si trova attualmente nei sondaggi a circa il 6% a partire dal centro fino alla punta dello stivale. Nelle isole scende al 4. Il vibrante desiderio di elevare Draghi al Campidoglio, assicurando il totale appoggio della Lega, rappresenta però soltanto il suo personale - e di partito - interesse. Stona però tale smaccata prospettiva per l’attribuzione della carica apicale dello Stato. Ci vuole, per l’elezione, il concorso di parecchie forze politiche. In sostanza, servono maggiore misura, diplomazia e prudenza per sollecitare il consenso generale. Est modus in rebus… La presidenza della Repubblica non può essere determinata dalla personale smodata ambizione salviniana.
Draghi si è assunto il compito di debellare il virus: si può dire che vi sia riuscito. Deve altresì fare le riforme essenziali contestualmente alla percezione dei contribuiti europei. Ha garantito in prima persona. In questi giorni, con il G20 di Caserta, abbiamo visto come tenga saldamente il timone del Governo. La statura è europea, non solo nazionale. Se lascerà la guida del Paese a Salvini, senza che le riforme siano portate in attuazione, l’accordo con l’Europa salterà. Partito il professore, gli allievi un po’ discoli si scatenerebbero nel voler piantare bandierine. Veti incrociati paralizzerebbero parlamento, commissioni parlamentari e governo. Occorrerà tenere la barra dritta fino al 2026, per esaurire positivamente impegni ed ottenere i finanziamenti europei.
Senza un nocchiero di statura europea come Draghi - purtroppo al momento non se ne vedono all’altezza - la tela sapientemente e pazientemente tessuta dal premier si strapperà, senza possibilità di rattoppi. Non sarebbe la prima volta che i contributi europei sono stati rinunciati per incapacità di utilizzo. Per i quali, da siciliani, si può dire: a schifio fenisce. Purtroppo così è andata finora. Raramente al Nord e quasi sempre al Sud, non sono stati utilizzati, ma trasferiti ad altri Stati dell’Unione. Senza burocrazie asfissianti e partiti egoisti e ciechi, ne hanno fatto utilizzo totale. Non si può barattare l’aspirazione salviniana con il rischio della perdita dei contributi europei. Draghi a Palazzo Chigi è determinante per il Paese. Merita in futuro la presidenza della Commissione europea. Alla successione di Mattarella si potrebbe chiamare la giurista Marta Cartabia. Per la prima presidenza femminile della Repubblica avrebbe tutte le carte in regola. Come prima Presidente della Corte costituzionale aveva ben figurato.