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Non si devono scuse ai "dittatori": in gioco la memoria di Regeni e la vita del giovane Zaki

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Dopo aver cosparso di novičok le mutande di Navalny, i sicari uscirono dalla camera con la stessa discrezione usata per entrarci. Il volo Siberia-Mosca, di lunga durata, era la garanzia per la riuscita dell’assassinio del dissidente. Piano concepito ed eseguito secondo lo stile Kgb. Il malore improvviso della vittima, appena dopo il decollo dell’aereo, sconvolse il piano. Il pilota, con l’atterraggio nel primo aeroporto utilizzabile ed i medici soccorritori, allertati dallo stesso, impedirono il successo scontato della manovra. Qualche tempo fa, a Londra, l’avvelenamento sempre con novičok di una spia e della figlia, seduti tranquillamente sulla solita panchina del parco pubblico, fece cilecca. I soccorsi immediati, l’operato qualificato dei medici londinesi, consentirono la sopravvivenza, beffando anche quella volta il Kgb. È molto raro che il novičok perdoni.

Sono due gli insuccessi conosciuti degli ultimi anni. Non sono noti quelli riusciti. Putin, chiamato a rispondere dalla stampa internazionale, la prese con macabra ironia: se fossimo stati noi, l’esito letale sarebbe stato scontato. Il presidente Usa, di fresca elezione, non usò espressioni diplomatiche all’indirizzo di Putin, ma chiamò pane il pane e vino il vino. Il destinatario non si sdegnò, non minacciò sfracelli, missili intercontinentali in partenza dai bunker sotterranei, missili tattici allertati sui sottomarini nucleari in navigazione negli oceani. Incassò, perché, fatta eccezione per gli armamenti, nei quali la Russia eccelle, l’economia è gravemente malata. Le troppe spese militari hanno sottratto fondi agli investimenti, alla ricerca, al miglioramento delle condizioni di vita. Come Biden, Draghi non ha usato eufemismi nei confronti di Erdogan. Lo ha definito come merita. Il regime è diventato una democratura. Il vocabolo indica l’imbastardimento delle democrazie, via via divenute effettive dittature. 

Nella Turchia odierna il consenso, pur se ampiamente condizionato, non raggiunge livelli da regime. Le tre maggiori città hanno eletto sindaci di partiti di opposizione. Il dittatore ha rinnegato il principio dello stato laico ed il totale rispetto per le donne, perseguiti dal fondatore della Turchia moderna, Ataturk. Lo Stato è ora confessionale, islamico. Il leader è di fatto, come qualificato da Draghi, un dittatore. Non è stata una gaffe del nostro Presidente del Consiglio, come tende a sussurrare la nostra prudente diplomazia. Attesa inutilmente la rettifica richiesta a Draghi, Erdogan si è dato ad offenderlo, senza ottenere né rettifiche né reazioni. L’interscambio Italia-Turchia, in campo commerciale, è importante: pare ammonti a più di 15 miliardi all’anno per ogni parte. Un boicottaggio turco dei nostri prodotti porterebbe ad identica misura da parte nostra. La Turchia, con le pazze spese militari e la costante volontà di espansione in Siria ed ora in Libia, a livello economico, si trova alla pari con la Russia putiniana.

Quando le democrature si realizzano ed i dittatori sono insediati, appare assai difficile liberarsene. Vi debbono provvedere i cittadini. Gli interventi esterni portano guerre, con il tutti contro tutti verificatisi con la caduta di Saddam Hussein e di Gheddafi. Il caos susseguitosi dura ancora oggi, nonostante la loro morte. Il despota siriano Assad continua a regnare grazie all’appoggio interessato di Turchia e Russia. Distrugge il territorio, che è la culla dell’umanità. Lì sono nate le prime civiltà e le popolazioni hanno prosperato, sono stati edificati monumenti, scritti poemi. Non si debbono presentano scuse o rettifiche ai dittatori ed agli assassini, chiamati con la qualifica che a loro si addice. Per mantenere il potere, hanno soggiogato la giustizia, imbavagliato la stampa, bloccato internet. I nostri rapporti con l’Egitto hanno fatto prevalere la ragion di Stato alla tutela della memoria di Regeni ed alla salvezza della vita di Zaki. Non facciamo così anche con Erdogan. 

Piercarlo Barale 

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