CUNEO
PIERCARLO BARALE - Nell’ultima votazione in Senato - la quarta - la riduzione dei parlamentari aveva sfiorato l’unanimità dei consensi. C’era stato quindi tutto il tempo per verificare l’opportunità e l’utilità della modifica costituzionale, senza poi richiedere il referendum. Proprio da parte di alcuni che avevano votato a favore. In realtà, neppure di modifica in senso proprio si trattava, ma di adeguare il numero degli eletti a gestire lo Stato, ai tempi attuali. Dopo il ventennio fascista, i padri costituenti avevano abbondato, sotto questo profilo. Avevano stabilito il bicameralismo perfetto, divenuto fonte di dispersione dell’azione legislativa, farraginosa e quasi infinita. Era stato stabilito un numero altissimo di deputati e senatori, nel tentativo di evitare future concentrazioni ad opera di leader carismatici, in grado di riprendersi lo Stato e di gestirlo come cosa propria, per i propri interessi personali, aziendali, ideologici. Era stata altresì stabilita l’assoluta autonomia decisionale di ogni singolo parlamentare, compresa perciò l’eventuale possibilità di cambiare casacca. Si era optato per la totale indipendenza del rapporto fiduciario con gli elettori, a prescindere dal partito di appartenenza.
Le osservazioni dei contrari alla modifica circa la carenza di rappresentanza degli elettori, che perdono 345 eletti, precisamente 115 senatori (da 315 a 200) e 230 deputati (da 630 a 400), paiono pretestuose. Siamo tra i più rappresentati al mondo, con i parlamentari più garantiti sotto il profilo giudiziario ed anche finanziario. Avvocati, commercialisti, professionisti, imprenditori, eletti al Parlamento, molto spesso continuano a svolgere la loro attività professionale a tempo pieno, senza perdere nulla, come invece avviene per i deputati europei, per i quali la mancata presenza in aula non consente di percepire circa 400 euro. I nostri parlamentari, anche se praticamente assenti per tutta la legislatura, percepiscono i quasi 15 mila euro mensili, accompagnati da viaggi gratis e tanti altri benefit. Parecchi ne hanno approfittato, incrementando le entrate dei loro studi, non solo per la presenza negli stessi anziché in aula, ma per la loro conoscenza di modifiche legislative o regolamentari, soprattutto sotto il profilo giudiziale e fiscale. Quasi sempre gli studi professionali, se non potuti gestire personalmente - facendo il ministro non è possibile - vengono affidati a soci o collaboratori. Taluni di questi hanno anche ottenuto benefici economici ed incarichi professionali con affidamenti provenienti da colleghi di partito e talvolta addirittura direttamente dal dominus onorevole.
Trecento parlamentari in meno non provocheranno solo un risparmio diretto annuo di 56 milioni - il caffè di un giorno dei 60 milioni di italiani - ma semplificheranno e miglioreranno l’azione legislativa. Meno eletti significherà anche migliore selezione e migliore controllo. È sempre altissimo il numero degli aspiranti, essendo invalso il convincimento - comune per tutte le competizioni elettorali - che l’eletto potrà ottenere un colpo di fortuna a vita, entrando nel ristretto numero di chi avrà responsabilità amministrative, con sicuri vantaggi per sé, la famiglia, gli amici, lo studio professionale o l’attività di impresa svolta. Per pochi la spinta alla partecipazione all’attività politico-amministrativa è quella ricordata da Platone: il dovere, per i migliori, di occuparsi della cosa pubblica. Vediamo come spesso, anche nelle recentissime vicende economiche relative al Covid-19, qualche amministratore ha approfittato dello stato di urgente bisogno delle amministrazioni anche ospedaliere: mascherine, respiratori, guanti, camici, addirittura interi ospedali da approntare d’urgenza, sono stati forniti con loro indebito lucro.
Platone nella “Repubblica” riteneva la partecipazione - obbligata, onesta, disinteressata, gratuita - dei migliori all’amministrazione della polis, come atto dovuto. Da noi si verifica l’esatto contrario. La quasi generale assenza dei migliori - capaci, onesti e disinteressati - all’amministrazione della cosa pubblica. Per un bravo avvocato, commercialista, ingegnere o architetto, imprenditore, commerciante, artigiano, lasciare per un quinquennio la propria attività o farla gestire da altri non pare conveniente. In una tornata elettorale in Parlamento, si perdono aggiornamenti e clientele, mentre l’onestà impedisce di approfittare del nuovo status. Inoltre, il procedimento per partecipare alle competizioni elettorali è tenuto saldamente in mano dai partiti, perlomeno per le elezioni regionali e nazionali. Vengono scelte persone di provata fedeltà, a prescindere spesso da competenza, esperienza, onestà, preparazione culturale e giuridica. Ne consegue che gli elettori possono solo scegliere tra gli aspiranti messi in lista dai partiti.
Solo una effettiva procedura democratica - prevista dalla Costituzione, ma molto spesso omessa- nella scelta degli aspiranti parlamentari potrebbe garantire la rappresentanza degli elettori. Sono invece sorti partiti e movimenti personali, dove il leader gestisce le liste e scaccia i disobbedienti quand’anche siano stati eletti, escludendoli da future candidature. Vediamo Renzi uscire dal Pd dopo essersi abbondantemente assicurato ministri e sottosegretari, valutato al 3% nei sondaggi. Condiziona il Pd e l’intero governo in modo spregiudicato, badando soltanto a far approvare una legge elettorale che gli consenta la rielezione, anziché cercando la migliore soluzione per il funzionamento dello Stato. La Destra, a suo tempo alleata dei pentastellati, firmataria della riduzione dei parlamentari, cavallo di battaglia dei predetti, appare molto perplessa sulla conferma referendaria del provvedimento. Il Pd, ora alleato dei Grillini, ufficialmente si dichiara per la conferma del provvedimento, ma non ne pare convinto. Teme, in una consistente percentuale, di consentire ai pentastellati di raggiungere il loro agognato obiettivo. L’unico finora ottenuto -salvo l’esito referendario- dopo le tante delusioni: Tav, Tap, Ilva, Alitalia, trivellazioni.
Nell’attuale situazione kafkiana, il cambio di alleanze e di governo ha sparigliato sull’approvazione del provvedimento di natura costituzionale. Le istruzioni dei partiti ai loro iscritti - che non sempre le seguono alla lettera - appaiono incerte, se non addirittura contraddittorie. La stragrande maggioranza dei cittadini elettori è parsa finora favorevole alla riduzione dei parlamentari. È vero che sarebbe stato necessario predisporre una riforma più vasta e possibilmente completa dell’intero settore. Tutte le volte che si è cercato di procedere così, anche con le bicamerali, è andata buca. Non ci sentiremo certamente orfani di 345 parlamentari e non avremo timore di essere scarsamente rappresentati. A condizione, però, che i 600 rimasti diano ascolto a Platone, si occupino effettivamente della polis, non siano succubi dei capi partito o acquisitori di incarichi per i loro studi professionali o le loro imprese, talvolta gestite da mogli o compagne intraprendenti.
Piercarlo Barale