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Nell'epoca delle "fake news", anche sui vaccini, Catone e Dante ci insegnano a sopravvivere

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Da due noti personaggi dell’antichità - Catone il Censore e Gerolamo Savonarola - possiamo trarre analogie ed insegnamenti attualissimi. Marco Porcio Catone, detto il Censore, il Sapiente, l’Antico, il Vecchio, visse a Roma e morì nel 149 avanti Cristo a 85 anni. Età impensabile all’epoca, quando la vita media non arrivava a 50 anni. Alcune sue frasi meritano di essere ricordate. Era stato generale, politico e scrittore. Terminava sempre i discorsi - come generale - con questa espressione: Carthago delenda est. Il suo pallino era l’effettiva - come poi avvenne - distruzione di Cartagine, affinché non costituisse più un pericolo per la patria. Ritenevano necessari la distruzione fisica e l’abbattimento di ogni fabbricato, con un successivo incendio. Era lo stile dei romani. Applicavano la loro regola per i vinti: dove hanno fatto il deserto, hanno portato la pace. La punizione per chi non si sottometteva. Per gli altri, vigeva la pax romana, misura molto diplomatica, con l’accettazione degli dei, il loro collocamento nel Pantheon accanto a tutti gli altri, il servizio militare nelle legioni, con una quasi cittadinanza.

Altre note frasi catoniane, modernissime oggi, sono le seguenti: pianta alberi, che gioveranno in altri tempi; non credere sempre a chi ti dà notizie. Bisogna avere poca fiducia in chi parla molto. Mi ha particolarmente colpito la seguente: non bisogna mai ritornare dove si è stati felici. Ci troviamo, nel ricordo di Dante, nel settecentesimo anno dalla sua morte. Sull’argomento trattato da Catone possiamo ricordare quanto il sommo poeta fece pronunciare, sul punto, a Francesca, nel quinto canto dell’Inferno: nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria.

Circa il suggerimento sull’utilità degli alberi, posta l’attenzione della collettività da Catone, a più di duemila anni di distanza, ce ne siamo accorti, dopo aver devastato il pianeta e le foreste pluviali. Non sarà facile porvi rimedio. Sulla seconda, siamo in tempo di fake news. Pullulano illusionisti che promettono a vanvera, con espressioni palesemente false. Ciò si verifica anche in merito all’attualissima questione dell’acquisto e della distribuzione dei vaccini. La terza, con il collegamento dantesco molto attuale, ci porta a qualche considerazione.

La felicità, diritto spettante, secondo alcune costituzioni, fra i diritti del popolo sovrano, è un bene prezioso. Catone fa riferimento ai luoghi dove si è stati felici. Dante invece al tempo felice, da non ricordare quando ci si trova in miseria. Un luogo fisico per Catone, alla luce delle solide convinzioni romane sulla proprietà, sulla considerazione dei beni come oggetti tangibili, localizzabili, iscritti nei registri censuari. Con Dante si sale dalla terra catoniana alla mente, al pensiero, agli affetti, alle gioie: tutti beni immateriali, ma saldamente esistenti. La forza della poesia coinvolge e libera ricordi, affetti, pensieri, sentimenti, nutre l’anima. Non per nulla si tratta del sommo poeta.

Girolamo Savonarola, morto a Firenze a 46 anni nel 1498, era un religioso, predicatore notissimo. All’epoca, si andava in chiesa talvolta solo per sentire le prediche. Spesso si trattava di un contraddittorio tra due religiosi di diversa appartenenza monastica. Dissertavano su argomenti di fede ed anche di attualità. Era quasi uno spettacolo. Predicando a Firenze, Savonarola venne ammonito più volte dal signore della città, Lorenzo il Magnifico, spesso oggetto di critiche pubbliche e assai pesanti. La corte, frequentata da personaggi famosi, scrittori, artisti e scienziati, praticava vita brillante e dissoluta. La mattina del 27 aprile 1491, dal pulpito pronunciò quella che venne chiamata una terrifica praedicatio, nella quale predisse la prossima morte del signore fiorentino, che persisteva nel peccato. Eletto priore del convento di San Marco, non rese il dovuto omaggio al Magnifico, pur avendo ricevuto dallo stesso doni ed elemosine. La profezia del Savonarola circa la morte di Lorenzo si realizzò nel 1492. Alcuni giorni dopo che nel corso di un temporale un fulmine aveva colpito l’altar maggiore della basilica, il Magnifico morì improvvisamente. Fu lo stesso frate ad assisterlo e confortarlo durante l’agonia e poi benedicendo il cadavere. Si narra che molto spesso, durante le cene eleganti al palazzo, a tarda notte, Savonarola guidasse un gran numero di seguaci, organizzati in una setta definita dei piagnoni. Pregavano, invitavano i peccatori a convertirsi e minacciavano sanzioni divine. Dal pulpito, continuava a criticare i costumi dissoluti della corte medicea. Organizzava anche pubblici roghi delle vanità, bruciando opere d’arte ritenute pagane e faceva processare coloro che venivano giudicati dissoluti. Nel 1498, il 23 maggio, venne impiccato. Successivamente, il cadavere, ancora appeso alla forca, venne arso affinché, dissolto il corpo, non venisse venerato e fatto oggetto di culto dai suoi seguaci. Dichiarati eretici, alcuni subirono la stessa sua sorte. Condanne ed esecuzioni furono ordinate dal papa Alessandro VI. Molte profezie si erano avverate, come quella della morte di Lorenzo de Medici. Dopo parecchi anni, il frate venne proposto per la beatificazione. Fu un pentimento tardivo di una Chiesa inqualificabile.

Nel caso di Savonarola, si può ricordare il noto detto chi di spada ferisce, di spada perisce. Aveva minacciato ed eseguito roghi, fatto scomunicare cortigiani dissoluti, profetizzato la morte di Lorenzo de Medici. Ricordando un passo del Manzoni, si può ben dire che non era solito minacciare invano. Nel contrappasso puntuale, toccò a lui morire, in modo orribile, con le ceneri disperse in Arno, quale eretico condannato con bolla papale. Gli eretici erano ritenuti posseduti da Satana, destinati ad essere ridotti in cenere, da disperdere: destruptio corporis. Catone e Savonarola, in epoche diverse, avevano fustigato i costumi, lucidamente perseguito le loro convinzioni nonostante rischi e minacce.

Catone ebbe una lunghissima vita e se la cavò solo con aspre critiche dei personaggi ai quali si riferiva, invitandoli vanamente all’onestà, al rispetto delle norme. Savonarola visse la vita media di allora, suscitò aspre contestazioni per la predicazione incessante, senza farsi intimorire dai Medici e dai papi. Coerente, inflessibile, fece della religione la ragione di vita, ben conscio che sarebbe diventata causa di morte. Per la Chiesa, non rappresentata ma occupata da papi e clero corrotti e dissoluti, non poteva che essere dichiarato eretico, da bruciare al più presto. Alla luce di quanto appare oggi, non si può dire che la Chiesa abbia seguito gli inviti di Savonarola. Con la differenza però, che perlomeno i papi hanno tenuto comportamenti corretti.  Così non pare per molti rappresentanti di Cristo, in Vaticano e fuori.

Piercarlo Barale

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