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Moglie, madre e teatroterapeuta sogna 'un mondo senza più veleni'

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Stefania entra in casa con una ventata di freschezza, anche se è un pomeriggio di luglio afoso. Umidità al 90%. E' cosparsa di girasoli su un fondo rosso: è l'abito che indossa. Fresco come lei. E' lungo fino ai piedi, tanto per avere più girasoli.

Ma chi è Stefania Giubergia?

E' una donna matura, ma nel cuore sempre bambina. Innocenza che le ha permesso di superare le difficoltà della vita. E che per pudore e voglia di segretezza, è restia a raccontare.

“Di che mi vuoi parlare? C'è tanto da dire.”

“Ecco, mi costringi a pensare a me, al mio vissuto. Non aprirò la porta ai ricordi dolorosi, melanconici, tristi, che si appiccicano addosso come melma che avvolge il cuore.”

“Come inizio allegro, non c'è male. Raccontami di cosa ti piace davvero.”

Stefania esplode in una risata liberatoria. Le piace l'ironia. Ancora di più l'autoironia: salvifica per lei.

“E' il teatro che mi piace davvero. Sin da piccola. Sono nata a Montanera, un piccolo paesino vicino a Cuneo. Con meno di 300 anime. Campagna, vita dura, problemi di famiglia, ristrettezze. La fantasia, quella no, non mi mancava. Con i bambini della borgata ci inventavamo storie, personaggi. Li divertivo con le imitazioni di Mina e Patty Bravo. Mi sentivo utile, realizzata davanti al mio “piccolo” pubblico che rideva divertito. Forse ho recitato sempre.

“Cosa ti dà il palco?”

“L'opportunità di esprimermi al di fuori del quotidiano. Inventarmi ogni volta, mi fa stare bene.”

'Mi racconti in breve il tuo percorso teatrale?”

“La svolta a 18 anni con il laboratorio teatrale di Eugenio Allegri, un'esperienza formativa. Poi con altri teatranti, abbiamo messo in scena uno spettacolo itinerante nel paese. Il testo, un mix di fiabe in cui, il Figlio, interprete principale alla ricerca di un tesoro, incontrava diversi personaggi. Il pubblico lo seguiva di stazione in stazione, con l'accompagnamento di un gruppo di musicisti. C'era l'Orco, la casa dell'Oste, la Strega...”

“Chissà chi interpretava la parte della strega...”

Stefania ridacchia divertita. “Indovina. Mi piaceva essere la temuta e irriverente Strega. Sai, a teatro la musica dal vivo è di grande effetto, tanto che ho persino tentato di suonare uno strumento...la tromba.”

“Perché proprio la tromba?”

“Hai presente il clown, quello tutto bianco? Suonare la mia disperazione con la tromba e travestita da clown. Oh! Come avrei fatto piangere. Volevo sperimentare il dramma. La difficoltà stava nelle prove. Il soffio stonato della mia tromba sembrava un fischio di nave in partenza! Così, ho abbandonato il progetto.”

“La tua prima volta in una compagnia teatrale?”

“Trasferita a Bra nel 1981, Maura Forneris e Armando Ambrogio mi arruolarono nella loro compagnia teatrale “I Desbela”. Dieci anni entusiasmanti. Maura, attrice professionista, aveva calcato il palco con attori di grosso calibro, mi ha insegnato molto.”

“Cosa ammiravi di Maura?”

'Soprattutto la sua regia professionale: ferrea, con uscite perfette, ritmo dosato, tecnica teatrale curata. Il mio impegno era totale. Nella mia vita disciplina e trasgressione vanno a braccetto, in ambedue mi impegno, con volontà'.

“L'esperienza indimenticabile?”

“Nell'87 quando Sandro Bobbio contattò Maura Forneris e Armando Ambrogio dei “Desbela” e fui tra i prescelti per formare la compagnia “Langa e Roero”. Portammo in scena “Odorose e Selvagge Langhe” tratto da opere di Cesare Pavese e Beppe Fenoglio. Ma niente meno che a New York! Fu nel mese di ottobre dedicato ai festeggiamenti della cultura italiana'.

“Episodi di quella esperienza?”

“Tanti! In valigia avevo messo tanti volantini per pubblicizzare Slow Food. Era appena nato. La prima sera ci trovammo catapultati in una serata di gala: ci presentarono al pubblico italo-americano, che parlava-rideva-applaudiva. Non capivamo una sola parola, assonnati e affamati per il viaggio, ci rifugiammo nelle cucine a ripulire quel poco rimasto. Era tutto nuovo per noi. Improvvisavamo sketch in strada, nei bar, nei metro'. Era la libertà dell'attore. Come bimbi di fronte a un torta meravigliosa, con la libertà di spalmarcela anche in faccia. Senza che nessuno ci rimproverasse. Provavamo al Saint Paul & Anderw di Broadway. Fantastico l'effetto scenico: all'inizio tutto buio poi all'improvviso, quando si apriva il sipario: una esplosione di luci ”

“Hai ricevuto qualche riconoscimento?”

“Il 1° premio del concorso teatrale “Recito dunque sono” di Torino. Migliore attrice non protagonista in Manù, la commedia Many di Alfred Adam, tradotta in dialetto, dove ricopro due ruoli contrastanti: una servetta sognatrice e una vamp conturbante. Ho frequentato diversi corsi di teatro, ho fatto parte della compagnia teatrale della Famija Albeisa.  Poi nel '98: il profondo cambiamento con la nascita di mio figlio. Sono entrata nel ruolo di mamma. In modo consapevole. Ho lasciato il teatro. Dovevo fermarmi e guardarmi dentro. Da quel momento il teatro ha assunto una sfaccettatura diversa. E' iniziato il percorso di Teatro Terapia.  Così, mi sono formata come Teatroterapeuta a indirizzo espressivo bienergetico nel 2008 e nel 2014 come Conselor.”

“Di che si tratta?”

“E' una disciplina che utilizza il linguaggio del teatro a scopi educativi, espressivi e riabilitativi con la messa in scena, all'interno di un gruppo, dei propri vissuti, emozioni, e paure. Guida alla sensorialità, percezione del proprio corpo e della propria emotività. Quindi, consapevolezza di sé: della propria identità, dei propri limiti, dei propri confini, corporei, sociali e relazionali'.

“Che significa counselor?”

“E' una figura professionale che sostiene e orienta, favorisce l'autostima della persona che ha bisogno di aiuto. Le fornisce i mezzi per raggiungere i propri obbiettivi, e favorisce soluzioni a disagi esistenziali e/o relazionali.”

“Oltre che moglie, madre, e teatroterapeuta, che altro ruolo interpreti?”

“Sono perito chimico, specializzata come tecnico di laboratorio. Lavoro all'Ospedale Santo Spirito di Bra nel laboratorio analisi. Mi piace. E lo svolgo con scrupolo.”

“Cosa ti fa stare bene?”

“Parlare di cose profonde, però sempre con la voglia di sorprendere. Spezzare la monotonia, con qualche guizzo. Magari uscire a piedi scalzi o con la piuma in testa.”

“Ecco la domanda più logora, più sdrucita per chiudere. Anzi, quasi quasi la metto all'inizio!”

Sapevo le sarebbe piaciuta! Esplode, ride, come nella vita e sul palco: “Più che un cassetto, direi...una cassettiera. Nel primo c'è il sogno di un mondo libero. Senza inferriate, chiavi, lucchetti, per difenderci da tutto e da tutti. Nell'altro c'è il sogno di un mondo più pulito, senza veleni.

Ci dimentichiamo che il mondo è rotondo, quindi nascondere le schifezze sotto il tappeto, non funziona. Prima o poi le schifezze si ripropongono a noi. Beviamo la stessa acqua da milioni di anni, come pensare che avvelenando quella del vicino, la nostra sia pulita?

Nell'altro c'è il sogno di un laboratorio di teatroterapia creato da me, basato sul principio... che gli altri sono il nostro specchio. E su questo ci sto già lavorando.

Fiorella Avalle Nemolis

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