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Mes: l'esito positivo non è affatto scontato, ma è comunque il momento di progettare

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - A fine 1927 il segretario del partito fascista Augusto Turati, polemizzando con Bottai, segretario del ministero delle corporazioni, elencò le opere pubbliche realizzate dal regime nell’anno: 72 acquedotti, 60 ponti, 85 strade, 28 impianti elettrici, 50 opere idrauliche, 38 edifici pubblici. Contestualmente annunciò che con il nuovo statuto del partito erano stati cacciati 2000 dirigenti di varia importanza e 30.000 gregari, spianando così la strada alla composizione del Gran Consiglio. Vennero cacciati i fascisti della prima ora, inclini alla violenza e non controllabili nei comportamenti. Le nomine, nonostante una formale lista, sarebbero state di scelta esclusivamente mussoliniana (ho tratto tali dati dal romanzo storico di Antonio Scurati, M. l’uomo della provvidenza, alla pagina 313). Mussolini venne allora definito l’uomo della provvidenza dallo stesso Papa ed ottenne il vibrante plauso di Winston Churchill espresso nella conferenza stampa all’ambasciata del Regno Unito a Roma il 20 gennaio 1927. La politica economica tendente a rafforzare la lira, sotto attacco sui mercati valutari, fermamente seguita a costo di indebolire i ceti meno abbienti, era stata efficace e determinante nel contesto internazionale. Durante e dopo la seconda guerra mondiale, il lusinghiero giudizio del premier britannico non fu più tale. Sono stati accertati contatti fra i due, che Churchill cercò poi di negare. Anzi, verso la fine del regime, ordinò ai suoi detectives militari di appoggio ai partigiani di fare tutto quanto possibile per catturarlo. Non vi riuscirono, in quanto, prima di loro arrivarono da Roma gli esecutori degli ordini del Comitato nazionale – Pertini insistette particolarmente - di catturarlo ed ucciderlo, come avvenne. Probabilmente il leader britannico preferiva portarlo in Inghilterra, sottraendolo a quello che sarebbe stato il processo di Norimberga, che avrebbe potuto svelare i loro contatti. I partigiani furono determinati: I dittatori vanno uccisi. Così avvenne poi per Gheddafi, Saddam Hussein, Osama Bin Laden. Un processo a Mussolini, che aveva dominato la scena per oltre un ventennio, avrebbe provocato rigurgiti fascisti e rese dei conti dall’esito imprevedibile. Dei dittatori non si deve consentire che venga conosciuto il sito ove giacciono sepolti, per evitare il culto della personalità o episodi di fanatismo. Seguendo questo drastico insegnamento, gli americani hanno lanciato in mare - assai profondo - il cadavere di Osama responsabile di tanti loro guai, debitamente zavvorrato.

Venendo a quanto sta succedendo in questi giorni, siamo impegnati a discutere se utilizzare o meno il Mes, prestito europeo che consentirebbe di disporre in breve tempo di 36 miliardi a tasso zero, per mettere in sesto il nostro sistema sanitario e riportarlo alla gestione pubblica, dimostratasi più affidabile ed efficiente di quelle private. Stiamo quasi litigando su come spendere i 200 miliardi già dati per ottenuti dall’Europa - particolarmente appetibili quelli a fondo perduto, che non incideranno sul già pesantissimo debito pubblico e soprattutto non dovranno essere restituiti. Da tutta la penisola erano stati inviati al governo circa seicento progetti per altrettanti miliardi, considerati già quasi in cassa. Molti non avevano ben capito la quantificazione dei benefici accordatici dall’Europa ed in particolare le condizioni tassativamente richieste. Quindi 200 e non 600 e niente pioggia miliardaria sul Belpaese. Solo poche opere, in grado di renderci nuovamente competitivi, privilegiare la produttività, il lavoro, l’ambiente e l’energia pulita. Dovremo anche porre in atto i presupposti per iniziare a ridurre il debito pubblico che segna ora circa 2600 miliardi che diventeranno oltre 2800 se arriveranno i prestiti agevolati. È il momento di predisporre la progettazione, non inviare l’elenco della pioggia di euro. La commissione europea ci attende per concordare tali progetti, evitare che non vengano accolti e finanziati in quanto non coerenti con le linee indicate. Dei finanziamenti europei, da alcuni decenni a ritroso, non siamo stati in grado di realizzare, nei termini indicati e con le modalità stabilite se non il 60% delle opere. Abbiamo perciò restituito quanto non utilizzato. Siamo ridotti al punto che se si vuole effettivamente eseguire un’opera pubblica in termini rapidi, occorre nominare un commissario già dal momento del progetto e fino al collaudo. Ciò è avvenuto per il ponte Morandi ricostruito con il progetto di Renzo Piano.

Normalmente occorrono anni per l’iter procedimentale progettuale ed altrettanti dall’inizio effettivo dei lavori fino alla consegna. Cambiano le amministrazioni, le regole, la legislazione, la giurisprudenza amministrativa, si debbono attendere gli esiti degli immancabili ricorsi. Spesso i finanziamenti stanziati risultano insufficienti o le opere stesse vengono ripensate. Oppure arriva al governo chi decide di non continuare più in nessuna opera statale, anche in corso, anche da ultimare e di non eseguirne altre, bloccando così di fatto anche per mesi o anni l’intero settore dei lavori pubblici e tutte le attività connesse. Non è detto che abbiamo conseguito i miliardi stabiliti dalla Commissione, perché molti Stati dell’Unione si oppongono a tale promessa. Per differenti ed anche contrastanti posizioni e rapporti differenziati con l’Europa, minacciano di non approvare tale decisione. I frugali da un lato ed il gruppo di Visegrad dall’altro, condizionano l’approvazione in sede europea ed il successivo recepimento dai singoli parlamenti, a condizione inaccettabili. Tra l’altro, le pretese dell’uno sono addirittura in contrasto con quelle dell’altro. Il presidente Conte, alla cui insistente presenza in Europa si deve la decisione, da consolidare però dagli organi statutari, è apparso subito molto ottimista. Dal momento che occorrono l’unanimità degli stati membri in sede assembleare europea, nonché il successivo recepimento nei singoli parlamenti, con quanto sta avvenendo, l’esito positivo non è affatto scontato. Pare difficile che questo enorme finanziamento europeo di cui siamo i principali beneficiari troverà sollecita approvazione. Se le opposizioni già formalizzate si concretizzeranno, dei miliardi promessi non vedremo neppure l’ombra. Nei migliori dei casi vi sarà un ritardo, con una probabile consistente diminuzione del contributo a fondo perduto, se non la sua eliminazione. Nel nostro dialetto una situazione simile, di incertezza marcata, si esprime così: marca mal. Se si verificanno, purtroppo per noi, le aspettative dei frugali o del gruppo di Visegrad, usando il dialetto siciliano, si dovrà dire: a schifio finisce.

Piercarlo Barale

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