CUNEO
PIERCARLO BARALE - Mercoledì 9 dicembre sarà il giorno del giudizio per la classe politica nostrana. Assisteremo ad eventi non prevedibili, in quanto sussistono importanti motivi per generare risultati contrapposti. L’interesse del Paese pare l’ultimo al quale parte dei parlamentari destina la propria attività, contravvenendo agli impegni assunti con l’elezione. Il popolo sovrano, nelle ultime consultazioni politiche, ha attribuito l’onore e l’onere di rappresentarlo ad un migliaio di cittadini. Di fronte alla imprevedibile pandemia, questo diritto e dovere è stato di inusuale adempimento. Sono state sconvolte le consuete modalità di formazione del consenso popolare attraverso provvedimenti legislativi, spesso ad personam o contra personam, caratteristici del ventennio berlusconiano.
Il vecchio e stanco leader ci ha nuovamente sorpresi con un paio di piroette, inattese anche dai collaboratori. Fresco fresco dall’essersi assicurato dal governo il provvedimento salva Mediaset, lo ha subito ricompensato - irriconoscente - obbedendo all’ultimatum salviniano di rientro immediato di alleanza con la compagine sovranista. Ha recitato l’inconsueta parte del figliol prodigo: pecorella sfuggita momentaneamente al pastore Salvini. L’esigua schiera dei berlusconiani obbedienti, con a capo Tajani - quasi dissidente invece Brunetta - ha faticato un po' a difendere l’operato del leader piroettante. Se si andasse ad elezioni, i berlusconiani che attualmente hanno notevole peso in Parlamento, si ridimensionerebbero al 7%, in base agli ultimi sondaggi.
Con la drastica diminuzione del numero dei parlamentari, fin d’ora applicabile, per molti la rielezione resterebbe un sogno.
I pentastellati, separati, dissidenti e litiganti, difendono, come l’ultimo giapponese, l’ultima bandiera loro rimasta: il no-Mes. Dopo la débacle totale nelle altre battaglie, dal Tav all’Ilva, al gasdotto, alle trivellazioni, appaiono spaccati a metà. Di Battista cerca -o meglio spera - sembra con l’aiuto interessato del padrone della piattaforma Rousseau, di arrivare alla stanza dei bottoni e gestire il partito-movimento.
Alcuni di loro hanno forse nostalgia salviniana e del governo - sempre Conte - che li aveva portati all’effettiva gestione dello Stato. Ora contano poco, se non a livello negativo, ostativo di decisioni opportune, necessarie, sensate, nell’alveo della collaborazione europea. Mancando idee e coesione, non sviluppano, né consentono ai partner di governo, di sviluppare progetti. Incalzano Conte, loro espressione originaria ed attualmente loro tutore.
Tutta qui la loro partecipazione al governo. L’abile professore non politico è diventato subito tale. Per il Movimento che lo ha portato alla presidenza, manifesta grande ed interessata considerazione, difendendoli quando si trovano sotto "minaccia" di Zingaretti nella raffazzonata coalizione. Alcuni maggiorenti Pd, impazienti di arrivare all’agognato rimpasto del governo, premono sul loro segretario affinché minacci la crisi - in realtà da tutti temutissima - per ottenere sostituzioni di ministri loro vantaggiose sotto il profilo personale e correntizio.
Renzi - Iv è data intorno al 3% nei sondaggi - novello Ghino di Tacco, pungola Zingaretti, mirando probabilmente a un ministero anche se lo nega pubblicamente. Dopo la disinvolta uscita dal Pd ed aver conservato due ministeri e sottosegretariati in misura in eccesso alla base elettorale nel nome dell’intramontabile manuale Cencelli, non ha perso tempo.
Salvini, dato retta a Giorgetti ed abbandonando l’antieuropeismo, assiste preoccupato ed impotente all’exploit della Meloni, che aspira ad assumere la guida della destra, in sua sostituzione. La Lega e Salvini personalmente attraversano un difficile periodo, tra le indagini per la sparizione dei 49 milioni e le inchieste che attentano alla correttezza dei finanziamenti. Ci sono pure i processi circa i sequestri di migranti e l'accusa di diffamazione della capitana tedesca della nave umanitaria, chiamata disinvoltamente zecca tedesca.
Mercoledì si recita a soggetto. L’unico punto fermo è il terrore dei peones - e non di loro soltanto - di porre fine al mandato e non essere rieletti nel nuovo Parlamento, dimagrito di un terzo. Questo collante - più aderente anche dell’attack - essendo trasversale tra gli schieramenti, consentirà molto probabilmente l’approvazione del Mes, evitandoci, in sede europea, la figuraccia di associarci, con un veto incomprensibile, ai sovranisti dell’Est. Se verrà chiesta la fiducia, la nuova versione del Mes - corretto a nostra richiesta - verrà approvata. Successivamente, ma certo non in questo fine anno, sarà forse pure approvato il Mes sanitario, che porterebbe 37 miliardi a bassissimo interesse e di immediato utilizzo. Cadrà l’ultima bandierina. Soprattutto i partiti al governo non si lasceranno sfuggire la gestione dei 209 miliardieuropei nel 2021, altro attack di pari aderenza.
L’enorme massa di denaro - parte ad interessi quasi simbolici ed altra in regalo - comporterà, secondo consolidate statistiche, il 10% di spreco a vantaggio di partiti, politicanti, maneggioni, opportunisti, faccendieri di vario colore e via elencando. Una torta gigantesca, con possibilità di nomina di periti, consulenti, progettisti, commissari, in base a simpatie o interessi dei nominanti o delle proprie parti politiche, con ritorni per sostenitori e simpatizzanti, garanzie per la rielezione o altre cariche, potere da esercitare per assicurarsi il futuro, con eventuali interventi di famigliari, soci di studio, commercialisti, artigiani ed imprenditori d’area.
Al di là delle nomine politiche o partitiche, sulle quali poco possono incidere i peones, queste tonnellate di denaro saranno gestite dai professionisti della politica eternamente in sella. La fifa della non rielezione, unita all’irresistibile richiamo della torta gigante distribuita dall’Europa, eviteranno ogni crisi di governo, foriera anche del rinnovo del Parlamento, come pare sia stato ricordato dal Presidente Mattarella.
Piercarlo Barale