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Marciapiedi, etichette e pellicce: a Roma e a Cuneo, quei ragazzi accolti o respinti

CUNEO

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GIULIA MELLANO - La seconda parte della mia esperienza di volontariato da Cuneo in Italia - dopo i terremotati - si è svolta a Roma, a cavallo di Capodanno. 

Decido insieme ad Alice, la mia compagna di avventure, di mettermi in contatto con l'associazione Baobab che, a Roma, si occupa prevalentemente degli immigrati in transito. 

Sì, immigrati. Quelli che arrivano in Italia e pretendono un cellulare. Quelli che arrivano in Italia e hanno una stanza in un hotel di lusso. Quelli che arrivano in Italia e rubano il lavoro a noi. Quelli che arrivano in Italia, ricevono 35€ al giorno e si comprano vestiti di marca.

Abbiamo cucinato per loro e condiviso con loro pranzo e cena per quattro giorni.

Qualcuno di loro ha un cellulare, se l'è portato dietro dal Gambia o dall'Eritrea. Come sfondo del telefono c'è la foto della sorellina o del papà che non sanno se e quando rivedranno. 

La maggior parte di loro dorme sui marciapiedi o in tenda, nel piazzale della stazione Tiburtina; i minorenni vengono invece accolti in centri che aprono alle 22 e chiudono alle 7 del mattino dopo; l'intera giornata devono trascorrerla tutti fuori, tra un centro commerciale e una stazione, per riscaldarsi un po'.

Alcuni sperano di andare via dall'Italia, qualcuno proprio non voleva nemmeno venire qui ma è stato ingannato; altri vorrebbero lavorare o imparare l'italiano, ma non sanno da che parte iniziare. Sono disposti a tutto, da lavorare come netturbini o lavare le scale dei condomini, assistenza agli anziani o turni notturni in qualsiasi fabbrica.

La maggior parte di loro indossa infradito e t-shirt; quando vedono felpe o scarponi usati e consumati, chiedono di poterne avere un paio... in infradito fa decisamente freddo!

Parlano bene inglese e francese, qualcuno ha imparato qualche frase in italiano; tutti sanno dire "ciao", "grazie", "come stai?". 

Per quattro giorni ho vissuto in questo microcosmo, sui marciapiedi di questa stazione e, ancora una volta, ho dovuto ricredermi su tante idee e pregiudizi che purtroppo negli anni ho coltivato dentro di me sul popolo italiano.

L'Italia non è solo "politici che rubano, calcio, mafia, grande fratello" ma è anche un insieme di tante persone sorridenti che sa tendere una mano verso chi è meno fortunato. 

Tra questi potrei elencare l'amica che ci ha sempre lasciato la sua cucina per preparare i pasti, la sua coinquilina che ci ha accompagnate la prima sera in questo posto che noi conoscevamo e i tanti amici e parenti che ci hanno fatto donazioni per poter comprare felpe e calze spesse per i ragazzi.

Sì, ragazzi. E non più immigrati... credo proprio sia giunta l'ora di togliere qualche etichetta!

Ho conosciuto tre ragazzine di 15 anni, arrivate in Calabria da sole, dopo quattro giorni di viaggio su un gommone con degli sconosciuti. 

Ho incontrato un ragazzo eritreo, arrivato in Italia tre anni fa e che adesso fa parte dell'associazione Baobab: non può non aiutare gli altri. 

Ho conosciuto una ragazza bellissima di NewYork; a settembre per lavoro era a Roma e un collega una sera le ha fatto conoscere i volontari Baobab; così a Natale è tornata, per dare di nuovo una mano a tutti questi ragazzi.

Ho stretto amicizia con A., arrivato a Ottobre dal Gambia; ci sentiamo tramite i Social e mi tiene aggiornata sulle sue piccole conquiste: finalmente ha ottenuto un posto letto in un centro della Croce Rossa e ogni giorno cerca un lavoro; ha fatto domanda di asilo politico, spera di ottenerla perché dopo aver attraversato Gambia, Senegal, Mali, Algeria e Libia vorrebbe trovare un po' di serenità qui, in Italia. Proprio qui, dove tanti bianchi gli sorridono e gli portano il the caldo zuccherato! A volte qualcuno lo guarda male, dice, ma per lui non è un problema perché sa che in fondo i bianchi sono buoni.

Ho lasciato a malincuore quel microcosmo e sono rientrata a Cuneo pochi giorni prima dell'Epifania.

Durante un freddo pomeriggio di shopping con due amiche, uscendo da una libreria del centro, incontro un ragazzo che chiede l'elemosina. Mi presento, lui dice di chiamarsi Abdul e di avere 19 anni. Gli chiedo se ha fame, mi risponde di sì, quasi imbarazzato. Ci dirigiamo in piazza Galimberti, prendo un trancio di pizza e glielo offro. 

Sorride, borbotta un mix di "grazie-thank you" e stringe forte il pacchetto. 

In quel momento, di fianco a noi passa una signora ben distinta, sicuramente al caldo dentro la sua pelliccia, ci guarda dal basso verso l'alto e bofonchia qualcosa. 

Non è né un grazie, né tantomeno un thank you, ma decido di non darle importanza. 

Dentro di me, però, le auguro con tutto il cuore di avere la fortuna un domani di incontrare anche solo per un minuto un ragazzo come Abdul. Solo così, forse, cara signora riuscirà a togliere la sua prima etichetta e chissà... magari imparerà anche ad apprezzare la vera ricchezza della vita che, le assicuro, non è una pelliccia. 

Giulia Mellano

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