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Map, Mapessa e Mappina nei favolosi anni '60 a Bra

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Era il 1968, il nostro negozio di oggettistica e articoli da regalo Map a Bra, in provincia di Cuneo, era aperto da settembre. I braidesi, superato lo shock iniziale del negozio strano in via Vittorio Emanuele 137, con la facciata del palazzo Liberty, dipinta a strisce rosso ruggine su giallo ocra, iniziarono ad accostarsi alla vetrina.

Sentivamo i commenti. “Ma cosa vendono qui? Ma, l'è tuta roba muderna! Ma, chi la cata? Mah! Mi sei nen.”

Per fortuna non tutti la pensavano così. I primi ad entrare furono un gruppo di giovani adolescenti, attratti dal colore. Anche l'interno del negozio era molto colorato. Gli oggetti per lo più in ceramica: vasi, posaceneri e portamatite, tutti di fogge originali, e di colore vivaci: rosso, arancio, lilla.

Addio alle ceramiche con decorazioni floreali. Era iniziata l'era moderna. Colore e linee pulite. Basta con il barocco. 

Spuntarono gli oggetti di designer: funzionalità, semplicità, colore. E Marzio, nel suo laboratorio, per il negozio ne produceva sempre di nuovi. Nacque la linea “moderna”. Il vocabolo “moderno” stava entrando nell'uso comune. Basta con i ghirigori! C'era resistenza a questo tzunami che travolgeva le tradizioni. E cominciò la rivoluzione. In tutti i campi.

I due strambi, Fiorella e Marzio, cavalcavano l'onda dello tzunami.

Non si perdevano le fiere di settore a Milano, la capitale dell'innovazione. Il Macef, paradiso dell'oggettistica e complementi d'arredo. Il Chibicar, il tempio della chincaglieria e accessori moda. Un mondo fantastico da scoprire, da svelare e proporre ai nostri futuri clienti. Tra gli oggetti più innovativi: i lampadari a sospensione in stoffa. Semplici sfere o semisfere, con scheletro di metallo, rivestite con tessuti finlandesi coloratissimi a disegni geometrici. Ne facemmo strage! E anche di complementi d'arredo coloratissimi: cassettiere, comodini, in resina abs, lampade da terra e da tavolo.

Celebre fu la lampada pillola. La fedele riproduzione di una gigante capsula, simile all' antibiotico. Metà bianca e metà rossa, alta circa un 70 cm. vasculante, e posata su una base.

Come andavano gli affari? All'inizio gli incassi non erano strepitosi. In compenso le spese erano ridicole rispetto a oggi. I costi di esercizio erano minimi. Tra le tasse: la vecchia “Ige” al solo 4%. Un' inezia in confronto alla successiva devastante Iva (imposta valore aggiunto) e, Dio solo sà, quanto si dovette aggiungere negli anni. Alcuni, per smitizzare, la soprannominarono la “ Zanicchi” come la nota cantante.

Quando aprimmo il negozio la piccola Sara aveva tre anni. Trascorreva con noi le giornate. Il trio: Map, Mapessa e Mappina, (così ci chiamavano) la mattina tirata su la serranda, a mano, anzi a braccia, entravano in bottega.

Marzio accendeva la stufa a cherosene. Io spazzavo il marciapiede antistante il negozio. Mentre Marzio, nell'attiguo laboratorio, produceva le sue creazioni per il negozio, io mi dedicavo alla vendita. Sara ascoltava con allegria, saltellando e ritmando, la la fiaba cantata dell'orsetto Lele e di Balzaneve, il cavallino a dondolo, che iniziava così: “Un orsetto di buone maniere, nel bosco cos'ha da temere?”. Si divertiva tanto. E io pure. Il giradischi, col piatto in gomma rigato e il braccio mobile con in cima la puntina di diamante, per solcare il disco, era posto nella parte superiore della radio. Un monumento. Grande, imponente e molto ingombrante. Ma io ne andavo fiera. Un regalo di nozze assai costoso. Anche molto “moderno”.

Iniziavo la mia carriera di venditrice. Ero un po' impacciata. Anzi, lo erano di più i clienti.

Si trovavano di fronte una tipa: originale? Molto colorata? Eccentrica? Un'extraterrestre? Insomma, non molto classica. Attorniata da tanti oggetti strani e colorati. Eravamo due estranei, l'uno per l'altro. Due mondi diversi, in apparenza. Dovevamo conoscerci. Per scoprire poi, che eravamo due esseri umani, con gli stessi bisogni, desideri, paure. Mi confessarono, poi, instaurato un rapporto amichevole, che all'inizio davo soggezione. Povera me. Soggezione io? Così spontanea, aperta. E senza pregiudizi.

Ma il muro dell'ignoto si poteva abbattere. Non mi mancava la favella. Cercavo di metterli a proprio agio.

Con le signore un pochino borghesi (da me soprannominate le signore piri-piri, che parlano con la bocca stretta. Che fa molto fine), mi ponevo con semplicità. Per sfumare, sbiadire, quel fastidioso impatto di eccentricità. Leggevo nei loro occhi curiosità, stupore, sconcerto. E nella mia mente provavo a immaginarmi con un tailleur grigio gessato, (quello che il mio babbo avrebbe voluto indossasi), con scarpine decoltè di vernice nere, tacco a rocchetto e calze velate bianche. Tanto fini. Ma così da infermiera diplomata! Così da gamba ingessata! No, no! Non avrei potuto. Pazienza. Avrei fatto un po' di fatica a farmi accettare.

Non potevo rinunciare alla Fiorella colorata, estrosa, che ogni mattino si reinventa, e si dipinge con gli abiti.

E così, a poco a poco, con le signore piri-piri, si instaurò simpatia reciproca e fiducia. Iniziò il mio percorso di psicologa fai da te, sul campo di battaglia. Mi ero fatta un campionario di clientela e in base agli approcci, trovavo il modo giusto per metterli a proprio agio. Perchè, io, ero dalla loro parte. Mi calavo, sempre, nei loro panni. Abbattevo la diffidenza, la timidezza, la paura del nuovo. Del diverso. Non fu facile. Era la mia missione. Instaurare un clima di complicità. Abbattere le barriere. Cancellare l'odiosa figura del commerciante insistente, adulatore, che vuole vendere a tutti i costi, che inganna con gli sconti fasulli. Ah no! Questo non mi apparteneva.

Iniziò l'era dei prezzi fissi. Del cartello alla porta: ingresso libero. E dell'omaggio.

Se mi dicevano “Ma sulla paciara cosa mi toglie?” rispondevo con una battuta: “ Ehh! Sulla paciara, vediamo, posso toglierle l'etichetta del prezzo. E poi, facevo scegliere l'omaggio!  Mi piaceva stare con la gente. Era un campionario interessante di umanità. Ascoltavo, con interesse. Mi arricchivo della loro esperienza.

E così, noi tre: Map, Mapessa, Mappina, trascorremmo giornate felici. Insieme.

Con merende consumate nell'intimità del retrobottega. Il fornellino elettrico acceso, rosso cangiante, per scaldare l'acqua per il tè. Pane e marmellata. Tutto portato da casa. Giusto il pane comprato fresco dalla panetteria Groppo proprio in faccia. La pubblicità del Mulino Bianco, venne anni dopo. Il bar era tabù. Un lusso. Impagabili le prime nevicate.

Noi tre spettatori dalle vetrine, incantati a vedere la via imbiancata. Come fosse la prima volta. Il tra-tra-tra metallico delle catene antineve delle auto. Il loro procedere lento, scivoloso.

In difficoltà, a scartare i ciclisti che imprudenti, di solito persone anziane, tra zig zag e scivoloni, invadevano il centro la strada. E i passanti scavalcare mucchi di neve per attraversare la strada. E le nostre risate irriverenti, non visti, nell'assistere ai loro rocamboleschi capitomboli. Ma, gli spazzaneve? Quelli, solo sulle strade statali. Così negozianti, e abitanti della via, spalavano neve. Tanta neve. Berretti di lana, sciarpe pelose scozzesi, guanti di lana pungente, scarponi.

Tante guance e nasi arrossati. E tante risate. Sì, allora si rideva. Anche gli adulti ridevano e mentre prendevano fiato, si tiravano palle di neve. Grandi e piccini trovavano ancora il tempo e lo spirito per sorridere, e per divertirsi con cose semplici.

Erano i favolosi anni sessanta!

Fiorella Avalle Nemolis

 

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