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La seconda vita dopo il cancro: ognuno reagisce come può... o meglio, come è...

CUNEO

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SERENA AGOSTINETTI - Negli ultimi anni il tasso di sopravvivenza ai tumori è andato via via aumentando grazie alla prevenzione e a percorsi terapeutici sempre più efficaci come quelli attuati dal Reparto di Oncologia dell'Ospedale S. Croce di Cuneo. Nel 2019 il 63% delle donne e il 54% degli uomini in Italia sono vivi a 5 anni dalla diagnosi, cioè un paziente su quattro è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito (dati AIOM).

Al termine del difficile periodo incentrato su pesanti cure e sull'incertezza della guarigione, finalmente per queste persone si apre la possibilità di riappropriarsi della propria vita: tuttavia spesso devono trovare un nuovo equilibrio, a causa del turbamento emotivo dovuto all'evento 'malattia' che può causare stati d'animo che perdurano nel tempo e possono interferire nel benessere e che possono necessitare un intervento psicologico.

La rabbia per esempio è una delle reazioni più comuni alla malattia, ai pesanti trattamenti e/o ai loro effetti collaterali: le persone, o prima o dopo, si sentono arrabbiate, con il mondo, con se stesse, con la famiglia e con i medici...il cancro è una inattesa e drammatica 'interruzione' della vita. È fondamentale riconoscere che la rabbia è una reazione emotiva naturale ad un evento sconvolgente come una malattia, che fa sentire vulnerabili e indifesi. Essa può provocare sfiducia nella vita e chiusura verso gli altri i quali 'non possono capire' con conseguente senso di profonda solitudine. Tuttavia può essere anche utile se si impara a incanalarla e trasformarla in energia positiva per lottare, perché può aiutare a reagire alla malattia.

Si deve tenere presente che un'emozione forte come la rabbia può essere molto difficile da gestire anche per chi la subisce, come i familiari o gli amici, che possono sminuire o non capire che la persona sia arrabbiata anche se è guarita, con conseguenti incomprensioni e attriti.

Sono molto frequenti anche la paura che la malattia possa ripresentarsi e la tendenza a cercare ed interpretare ogni sintomo come la conferma che ciò sta succedendo. Sovente a causa di questi timori possono insorgere delle crisi di ansia o panico, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno e irritabilità.

La lunga malattia e le debilitanti terapie possono lasciare molto spossati, privi di energia, fisicamente e psicologicamente scarichi e sfiduciati. Inoltre il senso di incertezza e vulnerabilità potrebbero causare umore triste, pensieri negativi, mancanza di interesse per le attività che normalmente procurano piacere, senso impotenza, insonnia, perdita dell’appetito, riduzione della capacità di concentrazione, andando a configurare un quadro depressivo tanto da rendere il ritorno alla quotidianità molto faticoso e difficoltoso.

Tutto ciò può influire su un aspetto importante della qualità di vita ed eventualmente di coppia che è la sessualità. Le ripercussioni psicologiche della malattia e fisiche dei trattamenti possono causare un calo del desiderio sessuale. Oltretutto i trattamenti possono causare nella donna secchezza vaginale con conseguente dolore durante il rapporto sessuale o nell'uomo disfunzioni erettili rendendo la sessualità problematica.

Ma cosa succede alla vita dei sopravvissuti?

La maggior parte delle persone riprende il suo cammino come se fosse uscita da un incubo che per fortuna è finito, non vuole più pensarci e vuole solo dimenticare.

Altre rimangono annichilite, schiacciate dall'angoscia e impaurite, vivendo poi una vita 'contratta' e ingrigita da un sentimento di tristezza e solitudine, svuotata di senso e di futuro, in cui non è più possibile godersi le piccole cose.

Quelli che, invece, sentono di essere davvero riusciti a rinascere pensano che «Un cancro è un’esperienza rivoluzionaria. E vivificante, nel senso etimologico. Certo, se ne esci vivo. E senza troppi problemi residui»(Cit.). È una rinascita in tutti i sensi, da quello fisico, a quello soprattutto emotivo, affettivo, esistenziale, spirituale.

Ciò che fa la differenza nella reazione alla malattia, che permette o meno di uscirne più vivi di prima spesso è il carattere, che influisce inevitabilmente sulla voglia di vivere e sulla capacità di tenuta di fronte ad un evento tanto stressante. Per sopravvivere è necessario mantenere compattezza mentale e fisica, avere buone relazioni, togliere il superfluo e concentrarsi sull’essenziale: tutto assume un altro peso e un'altra importanza. Può diventare prioritario eliminare ciò che disturba, le questioni superflue, i lavori non gratificanti, le relazioni poco appaganti, sottrarsi alla noia delle abitudini, al peso dei doveri.

Per questo qualcuno che vive la guarigione come una 'seconda possibilità' per essere felice, questa volta, non ha intenzione di sprecare tempo ad aggiustare ciò che ha e, in modo emotivo ed impulsivo, butta all'aria tutta la propria vita con, talora, pesanti conseguenze per sé e per chi li circonda.

Il punto centrale, in realtà, è ripartire da sé per ritrovare e migliorare la propria esistenza rispetto a come era prima della malattia. 

D.ssa Serena Agostinetti

Psicologa, Psicoterapeuta, Consulente in Sessuologia Clinica, Studio Logos (corso Dante 9, Cuneo)

 

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