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La primavera dei ricci a Novello, dove c'è un veterinario tutto per loro

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Massimo Vacchetta, scontento e in cerca di cambiamento, trova la chiave della felicità con 25 grammi di riccetta: la Ninna. Raggiungiamo Novello, un ridente paesino della Langa, in provincia di Cuneo. Cerchiamo di Massimo Vacchetta: lui, dai locali, è chiamato papà riccio. Percorriamo la passeggiata Belvedere, un vero spettacolo che la vista che ci regala. Siamo arrivati. Ecco la targa: Centro Recupero Ricci "La Ninna". E' un bel rustico riadattato ed è il ricovero dei ricci bisognosi di cure mediche.

Suono tirando la fune della campanella e ci apre Massimo: alto, magro e con due occhi azzurri che spuntano da un viso affilato con barba incolta. Ha passato una notte impegnativa con i suoi pazienti riccetti, ne ha una cinquantina da accudire e curare. Ci salutiamo per bene: un abbraccio e un bacio. “Pungi, assomigli ai tuoi ricci!”. Ridiamo per la battuta. Entriamo in cucina: la scrivania ben ricoperta da un asciugamano di spugna e sopra, una ciotolina d'acqua, colma fino all'orlo, e il computer acceso: sta scrivendo il secondo libro.

Il primo si intitola: “25 grammi di felicità. Come un riccio può cambiarti la vita”, scritto con Antonella Tomaselli, giornalista e cinofila, edito da Sperling & Kupfer e tradotto in moltissime lingue. “Scusa Fiorella, mentre parliamo devo dare da bere a questa riccetta...". La prende con mano esperta, Massimo è un veterinario che da quattro anni si occupa solo di ricci.

“Insomma, mi racconti chi è Massimo Vacchetta?”

Ma Massimo non distoglie un attimo lo sguardo dalla sua riccetta, che si abbevera a piccolissimi sorsi, la linguetta succhia con ritmo frenetico. Senza pause. E nel farlo si bagna i baffi e quel lungo nasino. Impossibile non commuoversi!

“Eh! - sospira - Massimo è un pazzo veterinario specializzato sui bovini, al quale sono bastati appena venticinque irresistibili grammi di riccetta per cambiargli la vita. L'incontro con la Ninna avvenne una sera di maggio nell'ambulatorio del collega, Andrea Brovida, che sostituivo per il weekend.

Ero in una fase di crisi esistenziale e mi trovai ad occuparmi di una riccetta, anche se non ne sapevo nulla di ricci. Si chiamava Ninna, era un'orfanella ancora lattante, infreddolita, affamata di cibo, ma soprattutto di affetto. Sentivo il suo pigolio flebile, un filo di gemito, ma così acuto, così penetrante da pungermi il cuore.

Aveva inciso la mia corazza, quella difesa ormai acquisita: una vergognosa, per me, abitudine alla sofferenza degli animali. Accolsi la disarmante richiesta d'aiuto: presi quei 25 grammi di riccio tra le mani: era così freddo, ormai la sua vita stava per spegnersi...

Immaginai il suo dramma: la vana attesa della mamma che l'aveva abbandonato...magari, investita da un'auto proprio mentre andava cercando il cibo per lui. Riconobbi nella sua paura dell'abbandono, della mancanza, della solitudine, la mia stessa paura, quella provata nel mio cuore di bambino. Quella che accompagnò tutta la mia infanzia. Da quel giorno è cambiata la mia vita.

Cominciai a farle da mamma, con tutte le traversie per allevare un cucciolo, sviluppando così un sentimento poco diffuso: la compassione. Credo che il fine della vita non sia solo accumulare beni, ma soprattutto prendersi cura degli altri, ossia della parte migliore di noi stessi, i sentimenti. Ogni giorno combatto, a tutti i livelli, per mantenere in vita questo centro".

“Nel dettaglio di cosa vi occupate?” “Accudiamo i ricci: quelli disabili, che ormai non possiamo liberare, quelli investiti dalle auto, e soprattutto tagliati dai decispugliatori, tranciati dalle frese, bruciati vivi nel rogo delle sterpaglie. Ahimè, causa l'incuria dell'uomo nell'opera di giardinaggio, non si pensa all'esistenza di questi animaletti, che già vivono ai nostri margini, come tanti altri, in un habitat sempre più ristretto. Il nostro obiettivo è quello di alleviare le pene dei riccetti e di rimetterli in salute per restituirli alla natura.

I ricci sono animali selvatici e lo dico con forza: vanno lasciati liberi in natura! E' il più grande atto d'amore ridare loro la libertà. Conosco il patimento che si prova nel lasciarli! Ogni tanto penso alla mia ricciolina: avrà fame? Sete? O freddo? Si ricorderà di me? La rivedrò un giorno?”

Mi commuovo perchè, a Massimo, mentre ricorda la sua Ninna, vengono i lucciconi: in lei ha identificato gli oppressi, i più deboli di cui prendersi cura. Per lui è stato un tornare indietro nel tempo e prendersi cura di quel bambino che era lui e che si sentiva solo e abbandonato. Un'empatia derivata da un ricordo d'infanzia. Ninna è stata la voce della natura che chiede aiuto: curando lei, curava se stesso.

“Massimo, il vostro centro dove prende le risorse?” “Non riceviamo sovvenzioni dallo Stato. Soppraviviamo grazie alle donazioni fatte su Fabebook al "Centro recupero ricci la ninna e i suoi amici" in onore di quella riccetta, la prima che curai quattro anni fa.

Il centro è aperto da quattro anni, grazie alla collaborazione di Luciano Remigio, responsabile del Cras (Centro recupero animali selvatici) di Bernezzo. Ora camminiamo da soli con il nostro Centro di recupero rcci “La Ninna”, che è una onlus e si occupa di soccorrere anche altri animali.

Adesso siamo in una fase storica: nell'arco di soli quarant'anni, l'uomo ha spazzato via il settanta per cento delle foreste e il settanta per cento di specie animali. Adesso dobbiamo batterci per la salvaguardia della natura, degli animali, dell'ambiente. Tutto ciò avrà un ritorno a nostro favore.

“Non ti sembra buffo il passaggio dai bovini, così grandi, ai riccetti così piccoli?”. “E' stato il mio primo pensiero quando queste manone, abituate a maneggiare bovini di quattro quintali, hanno accolto creaturine di qualche grammo. Del resto a occuparsi dei riccetti sono in pochissimi, mentre dei bovini sono in tanti. La mia non è solo una scelta, è una missione: mi dedico solo ai ricci. Ho rinunciato a una vita abbastanza agiata, allo stipendio, e non mi vergogno di dirti che sono un po' in difficoltà.”

"Il riccio punge?". "Punge quando si sente in pericolo, si appallottola e drizza gli aculei, come noi drizziamo i peli quando siamo spaventati. Diciamo che, sì, punge fisicamente, ma punge di più il cuore".

“Cosa vorresti di più dalla vita?”. “Vorrei contagiare con il virus della compassione: che ognuno facesse la sua parte per aiutare gli altri. Così tanto amore renderebbe il mondo più bello".

“La citazione che più ami?”. “E' di un anonimo e dice: “Non puoi dire di avere vissuto veramente nella vita, se non hai mai fatto qualcosa per qualcuno che non ti potrà mai ripagare".

E intanto la riccetta si abbevera, provo ad avvicinarmi di più, si ritrae, ma poi la mano amica di Massimo la rassicura e lei riprende. Nel congedarmi propongo a Massimo di sostituire il suo cognome Vacchetta, che si occupava di bovini, con quello più adeguato di Massimo Ricci, il papà dei ricci abbandonati e malati".

Fiorella Avalle Nemolis

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