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La corruzione politica secondo Giorgio Bocca: se il giornalista cuneese fosse vivo oggi

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Nel 1984, con prefazione di Giorgio Bocca, venne pubblicato il volume di John T. Noonan Jr “Ungere le ruote – storia della corruzione politica dal 3000 a.C. alla rivoluzione francese”. Più che un libro è un trattato vero e proprio, ampiamente documentato, che ha richiesto anni di studio e ricerca all’autore. A suo tempo lo avevo letto e ne avevo pubblicato un commento su un settimanale cuneese. Sistemando la biblioteca, mi è venuto tra le mani in corrispondenza con lo scoppio della corruzione europea. Pare il bis di Mani pulite, risorta o mai cessata, che ha sporcato questa volta, con ampiezza da verificare, l’istituzione sovrannazionale. La vicepresidente mandata dalla Grecia al consesso europeo, presa con le mani nel sacco, con il padre che a casa tenta di trasferire sacchi di banconote di piccolo taglio, finendo dritto dritto in bocca ai gendarmi. Deputati ed ex, portaborse già deputati, familiari di deputati e di portaborse con armadi, zaini, borse, trolley, sacchi, tutti stracolmi di banconote, ricordano la Milano da bere, con le valigette gonfie di banconote da centomila lire. Il tutto di craxiana memoria. Mi avevano impressionato le banconote cacciate a forza nel water da un alto magistrato milanese, coadiuvato dalla moglie. Avevano sentito puzza di perquisizione. Molta gente comune si domandava se avessero tirato a più riprese l’acqua, oppure intasato il sifone e la condotta fognante. Con possibilità quindi, ove il tutto non fosse già transitato dal collettore generale, di recuperarle. Si rideva, evidentemente per non piangere, su una classe politica ingorda e squalificata. Grazie agli inquirenti si recuperarono, soprattutto dai pentiti parecchi miliardi. Vennero trasferiti dai magistrati del pool in una banca convenzionata con la procura milanese. Alla fine, lo Stato ottenne un importante gruzzolo destinato ad opere di utilità pubblica.

Ben presto l’effetto Mani pulite cessò e la corruzione ad ogni livello riprese, con corruttori e corrotti che parvero un pochino più attenti nelle loro operazioni delinquenziali. Purtroppo, il danneggiato - lo Stato - non provvide a difficoltare la pratica divenuta abitudine. Allora tutti i partiti avevano contato vittime, palesato scheletri pesanti negli armadi. Accollarono tutto a Craxi. Condannato, se ne andò in Tunisia dichiarandosi capro espiatorio di un sistema collaudato e praticato da tutti i partiti. Si qualificò esule, lontano dalla patria ingrata, mentre per la legge era un pluricondannato latitante, tempestivamente fuggito nell’ospitale Stato al di là del Mediterraneo. Finché fu in vita, gruppi di turisti italiani – veri e propri pellegrinaggi – andarono a fargli visita. La sua lussuosa villa in riva al mare era stata inserita nei programmi turistici. Molti lo ricordavano con stima perché, prescindendo dalle mazzette istituzionalizzate, nella base americana di Sigonella, aveva contestato vittoriosamente le pretese Usa sul rilascio dei responsabili dell’attentato sulla nave. Per unanime considerazione, aveva avuto le palle e non si era inginocchiato – come spesso succedeva – di fronte alle richieste del potente alleato. Ciò non fu però sufficiente per azzerare le responsabilità corruttive accertate e sanzionate. Nel suo studio milanese ci si presentava con la valigetta zeppa della moneta patria di allora.

L’allegra brigata socialista, quelli della Milano da bere, sindaco compreso, pasteggiava quotidianamente a caviale e champagne. I locali alla moda, dove si intrallazzava sul destino legato alle tangenti, staccavano conti pazzeschi. Le monetine scagliate addosso a Craxi all’uscita dell’albergo quasi requisito dalla banda, fecero terminare, ma solo per poco, la pacchia ed il malcostume. L’autore del libro, John Noonan, nell’introduzione afferma che nello stesso momento in cui il concetto di tangente ha avuto il suo maggior successo, non ci sono mai state tante leggi contro la corruzione; mai le leggi esistenti sono stati applicate in questa misura, mai ci sono state tante condanne per questo crimine. In quello stesso momento, esso è messo in dubbio. L’autore si riferiva agli Usa, dove la corruzione ha sempre avuto grande interesse da parte del legislatore. Non per nulla esemplari condanne sono state ed ancor oggi sono irrogate per tali reati. Ovviamente, senza il nostro attuale limite a favore dei delinquenti, che evita loro di andare in carcere se condannati fino a quattro anni di reclusione. La normativa premiale tutta italiana valida non solo per corruttori e corrotti ma per tutti i reati, è una vera pacchia per i delinquenti per ogni reato commesso. Anche per quelli stranieri in trasferta nel nostro bel Paese.

Giorgio Bocca nell’introduzione afferma: “Ci sono molti tipi di corruzione. La corruzione come arte di governo, per esempio, praticata sempre dai dittatori o dai governi autoritari”. I gerarchi di Hitler si erano rapidamente e spregiudicatamente arricchiti già ben prima del conflitto mondiale. Non furono sanzionati, poiché al Fuhrer interessava solo la loro fedeltà, non la loro onestà. Continua Bocca: “C’è la corruzione a pioggia, la redistribuzione del reddito che partiti, enti pubblici, ministeri, aziende di Stato, compiono per tener buoni i clienti. C’è la corruzione partitica, in cui neppure i protagonisti riescono più a distinguere la corruzione per il partito o per la corrente da quella per sé stessi”. Se Bocca fosse vivo oggi, vedrebbe che la corruzione per i partiti e le correnti è pressoché finita. Rimane e si è ingigantita quella per il corrotto, per la sua brama di denaro, per mogli predatrici al loro fianco, per acquisti di case, barche, auto, viaggi da miliardari. L’autore del volume ricorda che: “Le confessioni di grandi compagnie americane, sollecitate dalla Securities and Exchange Commission hanno fornito la documentazione più ricca della storia della corruzione. Dopo l’inchiesta più approfondita sulla corruzione legislativa mai condotta, sette membri del Congresso sono stati dichiarati colpevoli di aver accettato tangenti”.

Una singolare finalità, da parte del corruttore nei confronti del corrotto era versare somme di denaro, nel periodo romano antico e poi via via fino ai tempi nostri, al boia perché venissero evitate le torture precedenti l’uccisione del condannato: di norma all’impiccagione. È da sempre che i colpevoli di taluni reati, ritenuti particolarmente gravi, vengono torturati con un iter spaventoso. La morte immediata costituiva per i parenti del condannato una sorta di grazia. Si arrivava addirittura a pattuire con il boia, in caso di decapitazione con spada, scure o ghigliottina, un solo colpo di tali strumenti. Per l’impiccagione, si pattuiva un nodo della corda preparato in modo tale da spezzare immediatamente la colonna vertebrale. Nella Repubblica Veneta si erano stabiliti percorsi di tornata diversi, con l’uso di particolari strumenti, come le tenaglie infuocate, fino all’essere – il condannato – sotterrato vivo. Quest’ultima modalità era parsa eccessivamente crudele e si erano esentati gli ecclesiastici, per i quali la pena capitale veniva irrogata con forca o impiccagione. Per gli altri, gli spettatori si riunivano attorno alla fossa dove il condannato era stato sotterrato per udirne le ultime grida.

Piercarlo Barale

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