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L'arrivo della "torta europea" è imminente: nuove elezioni sconvolgerebbero i commensali

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Non dire gatto, se non ce l’hai nel sacco. Il detto si riferisce ad una deprecabile consuetudine contadina, non solo nostrana. Avvicinandosi le festività di fine anno - ma anche prima e dopo - i ragazzi e pure gli adulti organizzavano cene in casa o in qualche osteria frazionale, provvedendo direttamente alla fornitura del piatto forte: il gatto. Abbondavano ed erano particolarmente grassi, dovendo affrontare la stagione fredda. Il sapore della loro carne, vagamente simile al coniglio, era gradito. I prescelti - rigorosamente non di proprietà dei promotori della cena - erano catturati mentre dormivano o attirati con bocconi di carne. Venivano posti - ognuno - in un sacco ben chiuso e barbaramente uccisi a bastonate nello stesso, oppure annegati. Si evitavano così fughe ed aggressioni pericolose. Se la cena avveniva in casa, le donne, pur disapprovando, provvedevano alla preparazione della carne, macerata con vino e aromi ed alla polenta di accompagnamento. I proprietari dei felini sacrificati cercavano di vendicare l’offesa, cibandosi a loro volta di quelli della compagnia già saziatasi a loro danno. Nelle osterie talvolta si veniva alle mani, al suono beffardo dei miao-miao o quando la portata veniva servita e - casualmente ma non troppo - era presente come avventore qualche vicino di casa o di campi, che da qualche giorno aveva notato la sparizione del proprio acchiappatopi.

Non c’erano allora televisioni, poche le automobili, non si leggevano giornali e l’invenzione di Marconi non aveva ottenuto ancora successo. I ragazzi più grandi coltivavano altre abitudini, parimenti non encomiabili. In primavera tenevano d’occhio le nidiate degli uccelli. Controllavano la schiusa delle uova ed asportavano i piccoli quando stavano per involarsi. ‘Ndé per njà' era utile e piacevole. Nessuno si lamentava: la Lipu non era stata ancora costituita e del senso civico, come della conservazione dell’integrità della natura, neppure si parlava. Pochissimi - molto intraprendenti ed agili - raggiungevano, in cima ad altissimi pioppi, le njà ‘d l’ajasa. I piccoli implumi erano consumati nella casa di chi poteva contare su madre o sorelle disposte a cucinare. L’immancabile polenta accompagnava i piccoli volatili. Ai predatori di nidi non veniva neppure in mente di pregiudicare il patrimonio naturalistico, stante l’abbondanza di fauna avicola, non ancora decimata da antiparassitari e diserbanti.

Ci si comportava così, come per i gatticidi, perché era tradizione, senza pensarci su. Per quanto riguarda i felini, sussisteva pure un effetto assai gratificante: arrecare un dispetto al vicino, in base a consueti rapporti di cattivo vicinato. Talvolta insorgevano inesauribili controversie, che arricchivano gli avvocati ed impegnavano le preture. Talvolta si finiva addirittura in Cassazione. Meglio comunque le cause bagatellari, che le fucilate sostitutive della rituale giustizia. Queste ultime non erano monopolio del Sud, ma talvolta si verificavano anche da noi. Ritornando al detto del gatto e del sacco, nel nostro panorama politico, che affronta problemi assai importanti - pandemia e miliardate europee - è probabile la replica di Conte con il sacco in mano, nel quale era entrato - quasi suicida - Salvini. Il "Capitano" - il ventriloquo della pancia degli italiani - aveva sfidato Conte, minacciando la crisi di governo. Pensava di sostituirlo: da vice a premier. Invece è finito nel sacco, distrutto, allibito, dalla micidiale ed inattesa dialettica e strategia del premier. È stato immortalato impietosamente - e lo si rivede spesso nelle varie trasmissioni - seduto al fianco di Conte, con gli occhi acquosi di Pinocchio tra il gatto e la volpe, mentre riceve mazzate via via più pesanti, come un pugile suonato. Storica figuraccia, distruttiva di un divo di cartapesta, gonfiatosi con l’aiuto del suo staff addetto alle pubbliche relazioni; telespettatori in ogni programma, ascoltatori in radio, lettori dei giornali, costretti tutti alla visione delle sue prodezze. Comportamenti molto lontani dagli insegnamenti di monsignor Della Casa, raccolti nell’aureo libretto: il galateo.

Pare che Conte - diversamente da Paganini, che non concedeva mai il bis con il suo violino - possa pensare di riservare all’incauto Renzi lo stesso trattamento toccato al Capitano. Quello stesso Renzi, che aveva liquidato Enrico Letta con l’indimenticabile: stai sereno! Per Renzi si tratterebbe di un contrappasso dantesco. Il suo partito è al 3,2% nei sondaggi. Minaccia il ritiro delle sue ministre. Vista la mala parata, si è servito dell’impegno in Europa della ministra Bellanova per rinviare un amaro calice servito da Conte. Se ritirerà le ministre e rischierà di andare alle elezioni, potrebbe risultare non rieletto, così come i suoi compagni di partito: fuggiaschi eletti con il Pd. Cercherà di provocare un rimpasto di governo. In ciò appare favorito dal Pd, che fa il pesce in barile, alla pari dei pentastellati.

L’arrivo della torta milionaria europea è imminente. Nuove elezioni sconvolgerebbero i commensali che la attendono. La migliore soluzione per Renzi pare sia di abbassare il capo, cospargerlo di cenere abbondantemente versata da Conte e sedersi a tavola, magari con una poltrona governativa o ministeriale. Ce ne sarà per tutti. La restituzione è a nostro carico, anzi di figli e nipoti.

Piercarlo Barale

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