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In autostop da Amsterdam a Milano nell'estate del '79

ALBA

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TERESIO ASOLA - Quella notte io e lei traghettammo da Harwich per Hoek Van Holland e, la mattina, salimmo sul treno per DenHaag-Amsterdam. Parlammo del mio mese e mezzo come coffee-boy in una pizzeria a Londra e del suo ritorno dai Morrison in Scozia a raccogliere fragole, dopo la Maturità. Il sole era vero e l’aria tiepida: da non credere che lì a Scheveningen dove il treno filava in silenzio, soffiasseil vento cantato da Brel.

Nell’ostello lungo un canale si dormiva in venti in letti a castello a quattro piani con le coperte assicurate ai montanti da una catenella.Amsterdam ci sorprese:il museo Van Gogh, l’allegria dei canali e delle case galleggianti, le biciclette, i ponti, le rivendite di formaggio dalla crosta lucida, la maestosità de La Ronda di Notte al Rijksmuseum, le signorine in vetrina del Red Light District, la vana insistenza dei pusher di piazza Dam, il mercato dei fiori sul Singel.Infine, uno zoccolino d’argento in regalo per lei.«Per i diamanti aspetterei». Sorrisi io e rise, lei, e appese lo zoccolino minuscolo alla catenina.

Una settimana dopo partimmo in autostop. Sull’autostrada per Utrecht sfrecciavano Porsche nere della polizia. «Utrecht, quale Trattato? Aiutami», le dissi, lei sempre forte in Storia. «Guerra di successione spagnola» tagliò corto, mentre il vento le scompigliava i riccioli neri.

Un passaggio ci portò a Maastricht: Olanda, ma Belgio e Germania a un tiro di schioppo.Un giovane ci portò ad Aachen su un’auto senza sedili, dietro:«Accucciatevi in fondo» disse.Poi ci parlò di Carlo Magno e dell’ottagonale Cappella Palatina nel Duomo.

A Colonia la cattedrale gotica emerse dalla città rasa al suolo e ricostruita, delle cui macerie mi raccontava papà. Chi ci portò era un artista. Mentre guidava già nei sobborghi di Colonia con la cattedrale scura e altissima nel cielo chiaro, ci domandò che cosa avremmo fatto all’Università: io dissi Biologia (avrei fatto Lingue, ma ancora non sapevo) e lei, Architettura (si sarebbe iscritta a Informatica). L’automobilista le corresse la pronuncia («Arscitecture, pas Arkitecture»). Scendemmo a Monaco con un automobilista che tenne la radio accesa tutta notte. Marienplatz, DeutschesMuseum e Olimpiastadion. Da un muro del Parco Olimpico sfilammo un poster già scollato di una festa per bambini, come l’anno prima a Pitlochry col manifesto di un festival delle Highlands. Dachau, non avemmo lo stomaco di andarci.

Un contadino ci caricò sul cassone di un furgoncino odoroso di mele e prugne. A Salisburgo c’era il sole. A Mozartplatz sbaraccavano i banchi del mercato. Mozart ovunque: sulle praline, sulle locandine dei concerti. Salimmo alla fortezza di Hohensalzburg e a MirabellSchloss, e scendemmo sulla Getreidegassecostellata di negozi dalle insegne colorate in ferro battuto.La mattina dopo, domenica, ragazzine in tracht, costume tirolese, sciamarono sul sagrato della chiesa e a Markplatz comprammo da una bancarella due mazzolini di fiori secchi, anice stellato e resine i cui profumi si scioglievano al sole.

E via verso casa. Un camionista turco ci raccolse per un lungo passaggio notturno fino a Brescia. Poi, dopo ore si fermò un’auto per Milano e, arrivati, prendemmo il treno. Avventura finita. Salimmo su un tram perPorta Genova. Acquistammo il biglietto ferroviario per Alba. Io e la mia ragazza avevamo attraversato l’Europa in autostop da Amsterdam a Milano.

Teresio Asola

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