CUNEO
FIORELLA AVALLE NEMOLIS - E' al n° 11 di via Antonio Meucci a Cuneo che mi fermo. Fa angolo con corso Dante. Mi batte forte il cuore. Non so se entrare da quella porticina. Entrare nella mia infanzia. Chissà. Rimarrò delusa. I ricordi di bimba sono sempre deformati: tutto è più piccolo, tutto è più bello. Ma sì, spingo la maniglia di ottone. Mi ritrovo nell'androne del palazzo. Non è più come prima.
Cosa mi aspettavo? Del resto anche Cuneo, la bella Cuneo non è più la stessa. La bella addormentata: pare. Chi la risveglia? Potrebbe essere la Capitale Alpina, la Sorella di Nizza, la maggiore delle Sette Sorelle. E invece! Piazza Galimberti, tra le più grandi e belle d'Italia, è diventata un punto di ritrovo per grandi banchetti all'aperto.
Mi piange il cuore a vedere i cubetti di porfido imbrattati di olio. E' un dato certo: il porfido assorbe l'olio. E non c'è santo che tenga. Le macchie restano. Per non parlare di corso Giolitti e di piazza Europa.
Ma basta! Ora voglio ricordare la mia Cuneo. Dove nacqui e vissi fino all'età di otto anni. Voglio ricordare l'atrio della casa in via Meucci al n° 11. Spazioso, con le cassette delle lettere in legno e le etichette in ottone. Le scale spaziose con gradini in marmo bianco. Il nostro bellissimo pianoforte era passato agevolmente. Era laccato nero. Lucente. Con un panno rosso fuoco ricamato per proteggerne la tastiera. Così gialla, così attraente. Ma anche inquietante. Pareva una grande minacciosa dentiera. Fantasie di bimba.
Non potevo avvicinarmi: lo suonava mia sorella Giuly. Più grande di me. Con manine così piccole, aggraziate, fragili. Il corrimano era in legno, lucido, consumato.. Quante volte a cavalcioni scivolavo fino al fondo. Atterravo sul pianerottolo. Non sempre con successo. Qualche capitombolo era da mettere in conto. Adria, Adria, scendi anche tu così. Coraggio. Nessuno dei grandi ci vede. E' divertente strillavo al fondo delle scale alla mia amichetta. Inseparabili.
Lei abitava in corso Dante, a pochi passi da casa mia. Non l'ho mai più rivista. Chissà. E quelle scorrazzate in Corso Dante, chi se le dimentica?Noi bambini del quartiere ci ritrovavamo sulle panchine. Attorno c'erano ancora i prati. Il cemento è arrivato dopo. La nostra rudimentale altalena, un asse poggiato su un pezzo di legno, era molto apprezzata. Si faceva la fila per salirci. Ma capitò, che un giorno, un bimbo dispettoso scese di brutto dall'altalena, e io dall'altra parte, feci una rovinosa caduta, per fortuna, sull'erba. Mi costò una frattura all'omero. Tornai a casa dolorante tenendomi la spalla.
Non dissi nulla. Temevo il rimprovero di mio padre. Mi avrebbe vietato di andare a giocare. Segregata in casa. Chissà per quanto. Ma a tavola, mio padre seduto alla mia sinistra, notò che qualcosa non andava. Giocavo col cucchiaio nel piatto. La minestra non andava proprio giù. Mi toccò la spalla per vedere cosa mi doleva, anche se io negavo. Quando mi sfiorò, cacciai un urlo. Feci concorrenza a Tarzan quando si lanciava con le liane.
Mi portò al Pronto soccorso. Ero terrorizzata. Il cuore mi usciva dal petto. Mi sbattevano le tempie. Non sapevo se avessi più male o più paura. Si alternavano. Percorremmo quei lunghi corridoi. I dottori con i camici bianchi slacciati e svolazzanti, sfrecciavano su quelle mattonelle traballanti. Bianche e nere. Ogni passo un tic tac. L'odore acre dei disinfettanti mi dava la nausea. Non piansi. Temevo la fatidica frase: Quando imparerai a obbedire?.
Ma mio padre non la pronunciò. Il dottore mi sedette sul lettino e poi anche lui mi toccò la spalla. Altro urlo. Insomma, avevo una brutta frattura. Mi ingessarono la spalla e tutto il busto. Imbalsamata. Una mummia infreddolita. Il gesso era bagnato. Risultato: tornammo a casa.
Mamma Gina e mia sorella Giuliana erano sulla porta, affannate, preoccupate. Mi videro ingessata. Ed io dissi: Il dottore mi ha detto che mi sono rotta l'Omero. Sì, l'avevo pronunciato con l'accento sbagliato. Mi ero rotta l'autore dell'Iliade e dell'Odissea. I miei risero così tanto, che capii che mi avevano già perdonata. Mio padre passò ore ad asciugarmi il gesso col fon. Scimmietta (mi chiamava così), vedrai che così si asciuga prima il gesso. Ti fa tanto male? Mi sciolsi in lacrime. Finalmente dissi: Sì, babbo.
Il giorno successivo, ero diventata un'eroina. Tutti i bambini di corso Dante mi chiesero di firmare il mio gesso. Tranne il bambino che mi aveva fatto quello stupido scherzo.
Com'era bella la mia Cuneo!
Fiorella Avalle Nemolis