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Immigrati o no, tra le luci di Cuneo incontriamo 'poveri più poveri'

CUNEO

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CLAUDIO RAO - Passeggiavo dalle parti di via Nasetta, appena mezz'ora dopo la mia consueta diretta settimanale su Radio Stereo 5. Mi godevo un pò la mia Cuneo prima di rimettere il turbo per le mille cose ancora da fare prima delle ferie. In trasmissione avevo parlato di emigrati, dei nostri attuali emigrati all'estero. Ci sono ancora. Fratelli Piemontesi, Veneti, Campani che dopo diplomi e lauree espatriano nella speranza di poterci provare. Di trovare un lavoro e condizioni di vita dignitose e degne. E spesso ci riescono, dando dell'Italia un'immagine nuova, diversa, prestigiosa. Ma anche quella di un Paese esangue, che lascia fuggire il meglio di sé, i frutti della propria Scuola, ancora qualificata e qualificante.

Mentre passeggiavo col naso all'insù, come spesso accade a chi ri-scopre una città, l'ho incontrato. Non so come, abbiamo incominciato a parlare. Ma è grazie a lui, grazie a Luciano, se ho ripreso un altro genere di diretta sull'emigrazione e sulla vita. Un'emigrazione in e verso l'Italia, il Piemonte e Cuneo. Una ricerca di una vita migliore e più degna da parte di persone ancora diverse da questi ultimi disperati in fuga da guerre e persecuzioni. Figli di tempi in cui i migranti si chiamavano ancora extracomunitari.

Cugini Polacchi, Albanesi e Rumeni. Come Luciano, 52 anni, una moglie che lavora e guadagna pochissimo e un figlio che non lo rispetta più perché un padre senza lavoro non è un modello da seguire. Un padre che ha studiato e ha anche un diploma, quello del liceo chimico. Come in molti Paesi dell'ex blocco sovietico i giovani venivano formati ed accompagnati al diploma. Non regalato, intendiamoci: non sono i figli del 6 politico!

Questi cugini, come i nostri fratelli, hanno dovuto e devono quotidianamente lottare per potersi affermare. Luciano ha lasciato un Paese che, dopo la rivoluzione che giustiziò il dittatore Ceausescu, ha fatto parecchi progressi in seno alla prospettiva capitalistica che governa il mondo, tanto da entrare - cosa una volta impensabile - nell'UE.

Così, i poveri sempre più poveri, sono espatriati alla ricerca di un futuro migliore. E sono entrati nella dinamica di sfruttamento che oramai non sfugge nemmeno al più distratto di noi. Oltre al pane che spesso difetta e alla nostalgia per un mondo che non c'è più, i nostri cugini come Luciano hanno subìto e subiscono umiliazioni quotidiane che logorano la loro dignità anche in seno alle proprie famiglie.

È spesso una guerra tra poveri (di spirito e di mezzi) quella che questo mio quasi-coetaneo mi raccontava, percorrendo corso Nizza. Cuneesi che lo accolgono e ne apprezzano la disponibilità e l'umiltà che fanno da sfondo alle competenze e allo spirito di adattamento dimostrato. E alla tanta voglia d'imparare e di integrarsi. Ma che poi si rammaricano di non poterlo tenere perché, dicono, 'ho i miei nipoti da sistemare'. E cuneesi (deliberatamente con la minuscola) che lo umiliano, lo deridono, gli danno dello 'straniero' come fosse un insulto, un sinonimo di gretto, ignorante... inferiore!

E mentre il suo viso passa dal sorriso e gli occhi che brillano, ripercorrendo gli impieghi temporanei che ne hanno riconosciuto le doti di indefesso lavoratore, ai tratti tirati, irriggiditi e allo sguardo perso nel vuoto delle cattive esperienze, pudicamente taciute a suo figlio che cerca d'integrarsi tra noi, io stacco e mi perdo nei miei pensieri.

Il dolore dell'emigrante vicino o lontano che sia, mi tocca e mi appartiene. Ora che da privilegiato mi è dato di toccare con mano per la terza volta nella mia vita questa esperienza, mi addentro in riflessioni profonde. Forse anche per sfuggire alla violenza psicologica che queste parole di un povero emigrante colto e volenteroso suscitano in me.
Mi porge un bigliettino col suo telefono Luciano, salutandomi fraternamente e sussurrandomi un 'veda se può fare qualcosa'. Insufflandomi, non so perché, un doloroso ed impietoso senso di colpa e impotenza.

Claudio Rao

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