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"Il mio posto è qui?": i referendum dell'8 e 9 giugno e la sfida dell'integrazione

CUNEO

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CUNEO CRONACA - "Protractive displacement", ovvero lo sradicamento protratto, è la condizione in cui vivono milioni di rifugiati e sfollati nel mondo: un’esistenza sospesa, segnata da incertezza e precarietà, spesso senza accesso ai diritti fondamentali come istruzione, sanità, casa e lavoro.

Ma perché accade tutto questo? E com’è possibile che, nell’Europa che millantiamo come culla dei diritti, dei valori e dell’accoglienza, queste situazioni siano ancora all’ordine del giorno? Ancora morti alle frontiere. Ancora lager a cielo aperto. Ancora strutture che escludono, invece di includere. Ancora cittadini di serie A – e persone che cittadini non lo saranno mai. Dove sono i diritti fondamentali per tutti?

"Il mio posto è qui?" è il titolo del documentario che dà voce a questi interrogativi. Attraverso le storie di sei protagonisti, racconta i viaggi esistenziali iniziati dall’Africa subsahariana e approdati in tre città italiane: Cuneo, Roma e Castelvolturno. Contesti molto diversi tra loro, ma accomunati dalle stesse sfide che i rifugiati si sono trovati ad affrontare: discriminazione, ostacoli burocratici e difficoltà nell’accesso al lavoro e alla casa. Il film, diretto da Andrea Fantino, è stato presentato al Cinema Monviso di Cuneo. La realizzazione è stata possibile grazie al lavoro di ricerca sul campo svolto da Pietro Cingolani nell’area di Cuneo, Milena Belloni a Roma e Giuseppe Grimaldi a Castelvolturno.

Era presente in sala anche Clarence Nitha, protagonista cuneese del documentario, mentre in collegamento è intervenuto Mamadou Kouassi Pli Adama, attivista del Movimento migranti e rifugiati di Caserta e mediatore interculturale. “Con Io capitano è stato come essere ambasciatore di molte altre storie, abbiamo indossato la cultura italiana per parlare di un problema globale”, ha detto Mamadou. Infatti, la sua vita ha ispirato il film capolavoro di Matteo Garrone, vincitore del David di Donatello 2024.

Integrazione è un termine che è stato ripetuto più volte durante la serata. La sentiamo quasi quotidianamente, ma cosa significa davvero? Integrarsi implica che una persona si sforzi di farsi accettare in un contesto socio-culturale diverso dal proprio, ma come può avvenire se dall’altra parte c’è un muro insormontabile fatto di pregiudizi e di paura? Perché bisogna sempre essere in due per creare una relazione. Non possiamo parlare di integrazione senza prima garantire i diritti fondamentali a tutte le persone che si trovano sul suolo italiano, indipendentemente dalla loro origine o dal loro percorso. La società, se è veramente democratica, deve garantire i diritti fondamentali come punto di partenza, non come traguardo da conquistare. Perché, senza questa base, l'idea di integrazione rimane un concetto vuoto, privo di sostanza. Se i diritti fondamentali devono essere meritati e non esistono di default, allora non viviamo nella sicura e democratica Europa che crediamo di abitare.

In quanto cittadini italiani, l’8 e il 9 giugno, siamo chiamati a esercitare il nostro diritto di voto per cinque referendum abrogativi: un quesito chiede di modificare le norme sulla cittadinanza e gli altri quattro riguardano il lavoro. 

Per maggiori informazioni sul referendum clicca QUI

Agnese Rabagliati, Cuneo

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