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Quegli ultimi giorni di scuola a Bra nei ricordi in bianco e nero

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Sono le 4 del mattino quando mi sveglio. Una nottata che non finisce più. Fa caldo. Mi rotolo tra le lenzuola tra un pensiero e l'altro. Tra pochi giorni finiscono le scuole. Riassaporo la gioia di ex scolara. Ultimi giorni di scuola, euforia, vacanze, i ricordi si incrociano. Tante scuole diverse. Ogni trasferimento di babbo Mario, paesi diversi, compagne diverse. Cerco di visualizzare i loro volti, rammento qualche cognome. Confusione. Non resisto. Devo verificare.

Balzo giù dal letto, e senza volere scaravento giù anche Astro, il micio nero che dorme accucciato ai miei piedi. Si lamenta in lingua gattesca: “E' questo il modo? Che ti piglia? E' ancora buio. Torniamo a letto”. “E' urgente. Devo frugare nel cassetto delle foto - mi giustifico. E' questione di vita o di morte”.

Impreco con le foto che, buttate come capita, si incastrano nel cassetto. “Cosa pretendi? Di trovare tutto in ordine. E' solo mezzo secolo che aspettiamo di sistemarci negli album”. Tiro, tiro e finalmente il cassetto si apre. Ma Astro si vendica per la levataccia, ci si corica dentro e si sistema. Strafottente, agita la coda che nervosa penzola fuori. Solo il richiamo accattivante delle crocchette nella ciotola lo distolgono. Abbandona la postazione.

Finalmente via libera, rovisto. Ed ecco una foto di classe. Scuola media statale Ernesto Guala, Bra. Anno scolastico 1961-1962, classe terza A. Infatti, quell'anno noi, famiglia Nemolis, ci eravamo trasferiti da Saluzzo a Bra. Da Saluzzo mi ero portata dietro anche le due materie a settembre: matematica e storia.

Passati gli esami di riparazione, babbo Mario prima di iscrivermi alla terza classe, si raccomandò: “Vedi di non farmi fare brutte figure anche qui. Non farti subito riconoscere”. Promisi e mantenni. Perché Bra mi piaceva. Allegra, ridente. Con in cima alla collina verdeggiante quella bizzarra costruzione ottagonale: la Zizzola.

Il simbolo della città. Mi incuriosiva, così andai in perlustrazione. L'edificio era abbandonato, tra erbacce, muri scrostati, persiane pericolanti. Impossibile visitarlo all'interno. Ora, invece, ristrutturato, è tornato all'onore del mondo. E noi braidesi ne andiamo molto fieri.

Durante l'estate non feci molte amicizie, trascorsi le vacanze al Palmizio, la casa di famiglia a Porto Azzurro. A settembre mi preparai per l'anno scolastico. Ordinai i testi scolastici alla cartoleria Rocca, in via Vittorio Emanuele, a due passi dalla bellissima chiesa di Santa Croce. Conobbi Delio, mio coetaneo e figlio dei titolari, fu il primo tra gli amici della via. Timido, gentile.

Cominciavo a conoscere i braidesi, così cordiali e con quella buffa parlata un po' larga. Passavo ogni giorno davanti al negozio di biancheria per la casa Sbuttoni. Bertino, il più giovane dei due fratelli, ogni mattina ramazzava il marciapiede. Imparai subito il suo nome, era un continuo: “Ciao Bertino!” Ogni passante lo salutava. E lui, alzando lo sguardo, rispondeva a tutti. Con il suo “Ciau né!”.

Cominciavano a piacermi questi braidesi. Probabile, mi sarebbero piaciuti anche i professori braidesi. Anzi, forse, io sarei piaciuta a loro. Come avevo promesso al babbo. Disciplinata. Obbediente. Studiosa? Si, ma non troppo. Quel tanto che bastava per la promozione. Di virtuosa in famiglia c'era già mia sorella Giuliana, che oltretutto passò di categoria: da alunna divenne insegnante supplente. Precoce. Sempre.

Addirittura a Saluzzo stabilì un record: conseguito il diploma di ragioneria, con il massimo dei voti e borsa di studio (io al massimo avevo la borsa del spesa), iscritta alla facoltà di Economia e Commercio, insegnò subito come supplente nella stessa scuola. Le capitò di avere come allievo un suo ex compagno ripetente. Piuttosto imbarazzante. Da compagna secchiona a insegnante.

Così in casa mi trovai faccia a faccia con il temuto avversario. Io continuavo la carriera di alunna, e le iniziò quella di insegnante. Comunque da quel dì, insegnò fino alla pensione. Ebbe così successo che ancora oggi, gli ex alunni già padri, ancora la fermano per farle le feste.

Confesso che la convivenza forzata con l'insegnante sorella abbassò di molto il mio tasso di pregiudizio nei confronti dei docenti. Infatti, con molti di loro, a Bra, ebbi una buona intesa e mi applicai con volontà nelle loro materie. Intanto Astro, sazio di crocchette, torna all'attacco e passeggia sulle foto. Ma, con sveltezza rapace, vinco la sua felina: gli sottraggo la foto di classe della terza media.

Dietro ci sono le firme delle compagne e persino delle insegnanti. Segno di pace. La prof di lettere Bianca La Camera, dolce ma ferma. Si sorbiva divertita i miei temi, lunghi e quasi sempre fuori tema. “Nemolis, ti lasci trasportare troppo dalla fantasia. Ogni tanto leggi il titolo dello svolgimento.”

Maria Chiara Botta, la prof di francese. Piccolina, frizzante, molto francese anche nei modi, ottima insegnante. Grazie a lei, la mia pronuncia della lingua è passabile. Rammento la sua insistenza sulle liaison. E la prof Angiolina Rubia, due occhi azzurri perforanti, esigente, e risoluta nell'insegnarmi a risolvere le espressioni. Onore al merito: ci riuscì. E mi piacevano pure!

Sono le tre insegnanti immortalate nella foto di classe delle medie terza A. Chi sono il nella foto? Prima fila, la terza a partire da destra. Dimenticavo, nel retro della fotografia c'è anche la firma del prof. di religione Don Pomatto, e non so perché lo paragonavo a Don Abbondio. Va a sapere perché. Forse perché aveva sempre il breviario in mano.

Mi vedo ancora con molte compagne di scuola. Con Luisa Bertello ci siamo accompagnate nella vita, presenti sempre, nei momenti belli e quelli brutti di ognuna. Ci piace, ogni tanto, scorrere insieme le vecchie fotografie e, domandarci anno per anno, come possa esserci scivolato tra le mani così tanto tempo.

Ma, subito ci confortiamo, ridiamo delle nostre rocambolesche avventure. Ci rattristiamo anche per alcune amiche scomparse prematuramente. Ma la nostalgia, la malinconia lasciano il posto alla voglia di continuare a sperimentare la vita. "a fare diverso”, come il mio motto. Sempre. Con curiosità e con coraggio.

Bando alle tristezze. Siamo qui, insieme, a chiacchierare, a confrontarci, e a pensare al futuro. Qualche ruga in più. Qualche acciacco. Ma, come si usa dire da queste parti, fuori dal letto.

Fiorella Avalle Nemolis

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