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Festa del papà: "Un po' burbero, distratto e pigro, ma per lui nulla era impossibile"

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - E' il 19 marzo e si celebra la festa del papà, ce lo rammentano gli spot televisivi e le vetrine addobbate con cuoricini. Ormai i cuoricini si trovano ovunque. Anch'io, nel mio ex negozio Map a Bra, in provincia di Cuneo, allestivo l'interno del negozio con oggetti dedicati al papà. Bandite le cravatte e i posaceneri.

Il mio motto "fare diverso" consisteva nell'allargare il ventaglio di proposte. Con un po' di fantasia si poteva fare meglio per questi poveri papà che, ogni giorno, nell'aprire le antine dell'armadio, erano aggrediti da un esercito di cravatte. Non si poteva buttarle, in segno di rispetto per gli amorevoli figli, ma a volte neanche indossarle, per rispetto di sé stessi.

In ogni casa pullulavano posaceneri, in tutte le varianti, cristallo, argento, ma quelli in ceramica davano il peggio di sé, forme mostruose, inguardabili. La fantasia era sviluppata in modo davvero kitsch. E così, per rendere meno monotona la festa del papà, sbrigliammo la fantasia. Ci riuscimmo, grazie a mio marito Marzio che realizzava nel suo laboratorio tutto ciò che ci frullava in mente e che non si trovava in commercio.

Ma in casa Nemolis, il 19 marzo, era la festa del babbo. Noi si diceva babbo. Forse perchè era di origine toscana. Me lo vedo ancora, babbo Mario, sprofondato nella poltrona di velluto color cognac del salotto, le gambe distese su un puff rivestito con lo stesso tessuto (mamma Gina curava molto i particolari) e le ciabatte di pelle penzolanti, a rischio di caduta imminente.

Teneva le braccia ben distese sui braccioli. Quasi ad approppriarsi della poltrona, occuparla in ogni millimetro, per un grande riposo. Oh, sì! Dopo cena, indossata la giacca da camera verde e nera damascata, si pregustava, lui, la cerimonia del telegiornale. Mamma, seduta nell'altra poltrona di velluto color cognac, quella dei grandi, mia sorella Giuliana ed io su quelle piccole, sempre di velluto color cognac.

Noi si pregava che non suonasse il telefono: quello a muro, nero, a rotella, con la cornetta e il filo penzolante, a disturbare l'ascolto: sarebbe stata una tragedia. Il silenzio regnava nella stanza, solo la luce del video che si faceva più viva o più fioca, a seconda delle immagini, e poi finalmente la sigla del telegiornale.

Io, nel buio, in attesa del Carosello, mi incantavo ad osservare il rosso in cima alla sigaretta, quel tubo bianco in bilico tra le labbra di babbo, e il suo improvviso infuocarsi ad ogni tirata. Seguivo la danza del fumo che ondeggiava sinuosa e formava quei deliziosi cerchiolini tutto attorno.

E all'improvviso, si udiva l'imprecazione di babbo che, professionista in distrazione, non arrivava in tempo al posacenere, e che si scuoteva di dosso la cenere caduta nel tragitto. Nel trambusto, sollevava di scatto le gambe, e si udiva il tonfo delle ciabatte cadute a terra, a cui seguivano altre imprecazioni per il difficoltoso recupero al buio.

E nel buio, si udiva la voce di mamma Gina che strillava il solito ritornello: "Insomma Mario, di nuovo la cenere addosso!". Il mio babbo era uomo tutto d'un pezzo, un po' burbero, molto stimato, ma la distrazione e la pigrizia erano le sue caratteristiche. Aveva il disprezzo delle conseguenze, che gli costarono diverse avventure, che superò con una grazia degna di un lord inglese. Non era portato per la guida, né via terra, tantomeno via mare.

Delle sue gesta se ne parla ancora, perchè hanno dell'incredibile: per esempio, in mare si avventurava su una barca a motore, con i remi legati e chiusi da un lucchetto. In caso di necessità, per esempio di avaria, le chiavi del lucchetto erano a casa, nei pantaloni che indossava il giorno prima.

Per fortuna i pescatori di Porto Azzurro, dove trascorrevamo le vacanze, quando Mario del Palmizio (la casa dei nonni) usciva dal porto, si tenevano pronti a soccorrerlo con le loro potenti imbarcazioni diesiel. E quelle via terra? Un episodio celebre, quella volta che in piena curva, con il piedino pigiato sulla frizione, tirò dritto e finì in un canale, lui e la sua auto a galleggiare.

Lo trassero in salvo e quando ci giunse la telefonata non ci stupimmo poi così tanto. L'auto fu recuperata, e al suo ritorno, imperturbabile, si dispiacque molto solo per le sue belle scarpe nuove, così rovinate. Con lui nulla aveva dell'incredibile. Dovevamo tenercelo così il babbo, ma a noi piaceva moltissimo.

Fiorella Avalle Nemolis

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