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Al pranzo solidale di Bra Carlo e Roxana raccontano il dolore di Amatrice

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Un incontro speciale: Carlo Grossi volontario dell'Ares 118 di Rieti, impegnato nei soccorsi ad Amatrice.

E' guardando negli occhi di Carlo Grossi di Amatrice che si legge a fondo il dramma. L'ho incontrato durante il pranzo solidale organizzato dal gruppo di volontari braidesi di “Direzione Amatrice”.

Due parole sul pranzo: 320 i partecipanti alla mensa comunale delle scuole Pellizzari di Bra. Tutti i cibi, bevande comprese, offerti dai commercianti. Dalla preparazione allo svolgimento del pranzo, alla lotteria, tutto a cura dei volontari braidesi che hanno aderito all'iniziativa di Michele Quattrale e dei suoi amici Marco Carena, Michele Ometto, Luca Farinasso.

Dettaglio importante: il ricavato “intero” è stato consegnato direttamente a Carlo Grossi in rappresentanza della città di Amatrice.

Carlo Grossi è sceso dall'auto con la compagna Roxana e l'inseparabile Laika, cane addestrato al soccorso. Gli sono andata incontro per salutarlo. Ero in imbarazzo, non volevo essere indelicata, ma lui ha acconsentito a raccontarmi di quel terribile 24 agosto 2016. Quando la terra ha cominciato a tremare. E ancora non ha smesso.

Carlo è un uomo maturo, alto, di bella presenza, viso incorniciato da riccioli sale e pepe, e occhi azzurri e limpidi come il cielo di Amatrice. E' composto e dignitoso nel raccontare. Ma il suo sguardo è fermo su ciò che ha visto. Come un film gli scorrono, impresse, le immagini di sgomento, orrore, e di disperazione.

Che dire, lui svolge un lavoro sempre a contatto con la sofferenza, con le disgrazie, ma non ci si abitua alle circostanze dolorose. Apre il cellulare e mostra con amarezza l'immagine di Amatrice, di quello che resta: nulla. Solo macerie. Lo ascolto muta, tesa, per non farmi prendere dall'emozione. Non ho il diritto, io, di piangere di fronte a chi la tragedia l'ha vissuta.

“Il nostro è stato un dramma atroce. Nonostante l'epicentro fosse a qualche chilometro dalla nostra Amatrice, purtroppo si è scatenato in modo violento soltanto nella nostra città e zone limitrofe. In altre città coinvolte, come Norcia e le altre in provincia di Ascoli Piceno, perlomeno ha dato la possibilità di uscire di casa. Perché avvenuto in fasi diverse. La scossa più forte di 6 punto uno, o forse 2, è stata proprio nel profondo della notte: le 4,36".

“Ma che diresti a chi non ha vissuto questo dramma e che magari si lamenta di piccoli disguidi quotidiani?”

“Non mi sento di fare la morale a nessuno. La vita è una sola. Dovrebbe essere vissuta in modo più razionale, con gesti di altruismo che a volte potrebbero superare la nostra disponibilità. E' vero che adesso noi viviamo questa difficoltà, però, se si va a vedere, nella storia, negli anni, e ancora oggi, ci sono nazioni, paesi che ancora vivono le fame, dove ancora non c'è acqua, né luce. Per questo, io non riesco a chiedere continuo aiuto. Gli aiuti ci sono. E' giusto. E' bello. Spero tanto, mi auguro, di non dovere essere, io, un domani a dare aiuto.

Anche se ormai è noto, come spiegano i geologi, che tutto l'Appennino è una bomba ad orologeria. Non conosciamo il momento in cui scade il tempo, a cui segue l'esplosione. Si, che la nostra era una zona altamente sismica, ma neanche si poteva prevedere un simile dramma.

Averlo saputo, neppure io, originario di Roma, avrei seguito il volere, proprio dei miei ragazzi, che finito il liceo preferivano la quiete di questi luoghi, l'università di Aquila, rispetto a quella di Roma. Così tornammo ad abitare in modo definitivo ad Amatrice, nell'appartamento di mia proprietà. Tra l'altro mio figlio Franco, di 22 anni, è stato registrato all'anagrafe come l'ultimo nato ad Amatrice, anche se nell'ospedale locale, non esisteva più reparto di ostetricia e ginecologia. Fu un'emergenza. Anna, mia figlia invece nacque a Rieti.

Io mi sono salvato perché con la mamma dei miei figli mi ero separato da 4 anni, e dopo due ho conosciuto Roxana, e siamo andati a vivere fuori, ma sempre nella provincia di Rieti.

E poi la notte della tragedia sono certo di essere stato allertato dal cane. Ho sentito una specie di lamento, poi è venuto in camera da letto, ma quando stavo per rimettere la testa sul cuscino è arrivato il movimento tellurico, che da noi non ha provocato molti danni. D'istinto, senza ascoltare notizie dai media, ho fatto il numero di mio figlio Franco, non rispose. Di solito fa tardi, invece quella sera alle 23 era già nel suo letto. Immediatamente sono partito per Amatrice con il mio cane.

Appartengo al nucleo Protezione civile di unità cinofila ricerca e soccorso dell'Associazione nazionale dei Carabinieri. Con un mio amico alla guida, abbiamo impiegato oltre 40 minuti per arrivare ad Amatrice. Sulla Salaria c'era una colonna infinita, ambulanze, carabinieri, c'era di tutto e di più.

Siamo stati quasi sempre in corsia di sorpasso. Si sentivano e vedevano elicotteri. Ho realizzato l'immane tragedia che poteva esserci. Giunti sul posto l'ingresso al paese era difficoltoso per la rottura della condotta principale del metano, l'aria era irrespirabile. E come da corso Umberto I, ho girato per entrare in via della Madonna della Porta, già mi si presentava la visione che il tetto di casa mia non c'era più. Ho percorso 100 metri e ho visto la casa caduta su se stessa. C'era gente in stato confusionale che si aggirava intorno.

Non ho badato più di tanto a loro, ho sciolto il cane e l'ho invitato a cercare. Ha fatto un giro sulle macerie e poi si è fermato sul lato più estremo a nord della casa e ho realizzato che c'era la camera da letto della mia ex moglie che dormiva con Anna, la nostra figliola.

Abbiamo urlato per farci sentire, quando si è udito un breve lamento, abbiamo cominciato la rimozione dei sassi, delle macerie. Ho di nuovo invitato il mio cane a cercare i mie ragazzi tra le macerie. Però Laika non aveva l'atteggiamento giusto che conferma quando c'è ancora vita. Ho spostato più veloce possibile i calcinacci con l'aiuto di altre persone, e ho individuato mio figlio Franco. Sono infermiere da 39 anni, ho realizzato subito che era morto.”

A questo punto vorrei fermare Carlo, gli faccio cenno. Ho il groppo in gola. Ma lui continua.

“Nel frattempo mi hanno chiamato dall'altro lato, la mia ex moglie era stata liberata da un po' di detriti, ed è apparsa la nuca di mia figlia Anna.”

Carlo ha un attimo di cedimento, ma poi anche con la voce rotta riprende.

“Mia figlia era sepolta da detriti finissimi. Sono riuscito ad arrivare al collo e ho sentito che non c'era più battito. Anche se era ancora calda. Mentre mio figlio Franco presentava già le macchie emostatiche. Purtroppo è stato schiacciato dal crollo del tetto. Una volta liberati, li abbiamo adagiati su un prato, il punto di raccolta delle salme. Per estrarre mia moglie, che aveva anche problemi respiratori, sono occorse due ore. Ma era salva.

Intanto c'era bisogno di dare il cambio a chi esausto lavorava senza tregua. C'era anche il continuo pericolo di crollo durante gli scavi. Ho collaborato un pochino. Poi sono stato richiamato da Mauro Margarito, l'ex comandante della Caserma dei carabinieri: era uscita una mano, sempre dal lato est della casa.

Era della mia ex suocera, ormai deceduta. C'erano pure il cagnolino e il gattino di Anna, che stavano lì, tremanti e impauriti. Povere bestiole. Ho collaborato finché mi hanno retto le forze, poi sono crollato e mi sono disteso su una barella. Ma dovevo restare sveglio. E dopo ho avuto dei problemi, anche con i ricordi...

Solo nel centro di Amatrice sono stati 173 i morti. Anche Roxana ed io, da ottobre stiamo li, ad Amatrice, in quello che resta di Amatrice: sassi, distruzione, polvere, per la rimozione dei detriti, per il via vai dei mezzi di trasporto pesanti. Giriamo con le mascherine tanta ce n'è.

Siamo sistemati all'interno di un contesto privato, dove c'è ragruppato tutto ciò che concerne il sanitario. Quello che era l'ospedale, oggi si chiama Pass (presidio assistenza socio sanitaria) composto da 5 moduli di piccoli container con: medico di base, ospedale, guardia medica, due farmacie e la postazione del 118.

Collaboriamo con un piano della regione Lazio e con dipartimento della Protezione Civile, facciamo assistenza sia organizzata che autonoma. Con il mio lavoro in ambito sanitario conosco tutti gli abitanti. D'inverno il paese, con tutte le sue frazioni contava circa duemilacinquecento abitanti. Adesso Amatrice non c'è più.

A chi resta mancano i propri cari, mancano famiglie intere, mancano le case. Manca la sicurezza. Manca la garanzia, mancano le casette promesse. Non c'è niente di fatto. La gente è insoddisfatta di tutto.”

Carlo ha continuato il racconto con Marzio, uno sfogo. Presente anche Roxana che ogni tanto si asciuga le lacrime. Io mi sono allontanata. Ora non potevo più trattenere le lacrime.

Fiorella Avalle Nemolis

(Nelle foto, Carlo Grossi con Laika, assieme a Roxana e ai due coniugi Roiatti, originari di Amatrice)

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