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Di quei 769 morti sul lavoro, purtroppo saliti in Italia, 9 sono cuneesi

CUNEO

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Riceviamo una breve nota della Cgil di Cuneo sui dati Inal e pubblichiamo: "Nel nostro Paese aumentano gli infortuni sul lavoro: in nove mesi ci sono stati 769 morti, con una crescita del 2,1%. Da gennaio, infatti, sono state presentate circa 472.000 denunce, 594 casi in più rispetto allo stesso periodo del 2016.

I dati recentemente diffusi dall'Inail raccontano di una vera e propria strage che sembra non doversi arrestare mai. E anche in provincia di Cuneo la situazione è analoga: già 9 morti da gennaio a settembre. Il dato più inquietante, però, è che questa tendenza negativa avviene in presenza di una seppur timida ripresa dell'economia.

Nel momento in cui riparte il sistema produttivo, insomma, aumentano anche gli infortuni. Questo fenomeno significa che la ripresa economica non contiene quel salto di innovazione sul quale abbiamo discusso in tutti questi mesi, è una ripresa che guarda al passato e la stessa tipologia degli infortuni mortali registrati conferma questa tendenza.

Nei settori più colpiti dagli incidenti si continua a morire esattamente come si moriva mezzo secolo fa, in edilizia le cadute dall'alto, in agricoltura il ribaltamento dei mezzi di lavoro. L'economia riparte, quindi, senza la spinta al cambiamento di cui avrebbe bisogno, i dati sugli infortuni sono il sintomo di una ripresa timida perché basata sulla svalorizzazione del lavoro e dei lavoratori.

Un tempo, questo fenomeno veniva definito semplicemente sfruttamento, poiché l’aumento degli infortuni, parallelamente alla massa delle ore lavorate, significa che aumenta lo sfruttamento su chi lavora. A fronte infatti di una riduzione del monte ore di lavoro complessivo, c'è la continua richiesta, da parte delle imprese sui lavoratori occupati, di incremento di orario, naturalmente a parità salariale. È quindi del tutto evidente che il rischio aumenta, così come si amplificano nuovi fattori di rischio legati ai processi di trasformazione del sistema produttivo.

Il problema vero è che la ripresa avviene esattamente con gli stessi paradigmi del passato, quelli che invece dobbiamo cambiare. Dal punto di vista macroeconomico un'economia che si fonda su un lavoro di scarsa qualità non porta da nessuna parte e contraddice seriamente la discussione e gli studi aperti da mesi sull’industria 4.0, su quelle grandi trasformazioni che dovrebbero rappresentare la leva fondamentale per il salto di produttività dell'economia.

Il dibattito in corso sull'innovazione tecnologica ci dice che nelle sfide che ci attendono occorre un forte investimento sul fattore lavoro e in termini di formazione in quanto capacità di acquisire nuove competenze. Il contrario di ciò che si sta facendo in Italia. C'è uno scarto abissale tra i dibattiti della convegnistica e la realtà. Il sospetto che abbiamo è che nella strategia della gran parte dell'impresa italiana manchi proprio la volontà di innovare".

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