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Dalla certezza della vittoria all'ultima manifestazione dei sostenitori: il declino di Trump

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - La Resistenza di Trump alla Casa Bianca assume, di ora in ora, una colorazione comica. L’annunciata – da parte sua – tragedia nazionale, non si è verificata. Non si è arrivati al Papa e all’antipapa del periodo dell’esilio avignonese e neppure vi è stato un pronunciamiento, o meglio golpe, alla sudamericana. L’esercito non è dovuto intervenire. Ma il non più presidente aveva prudentemente sostituito il capo del Pentagono con un suo yes-man. Sistema, questo, che ha caratterizzato il quadriennio trumpiano, con la partenza volontaria o la cacciata improvvida di quanti non condividevano idee, progetti, sistemi del presidente. L’unico - si fa per dire, ignorando quanto avvenuto e soprattutto poteva avvenire - a scampare la cacciato, pur avendolo più volte contraddetto, è stato il dottor Fauci. È l’Arcuri Usa, ma con poteri più limitati, in quanto Trump non ha contrastato la pandemia in modo serio, efficace, continuativo e soprattutto convinto.

Nel gran finale dello spoglio delle schede - ritenuto a lui favorevole - aveva promesso la testa del consulente Fauci, per compiacere i sostenitori. Ciò che stupisce - ma ha ampia spiegazione - non è tanto l’annunciata pervicacia trumpiana, che rientra nelle caratteristiche del personaggio, ma la fedeltà dei simpatizzanti. Migliaia lo hanno osannato nei giorni scorsi ed hanno ricevuto il ringraziamento del condottiero acciaccato ma non domo. Stava recandosi a giocare a golf - una giornata dedicata ogni quattro, quasi la principale attività, anche in tempi di battaglia elettorale -, li ha salutati dalla lugubre berlina nera blindata, con il segno della vittoria. Così ha ringraziato i sostenitori, giunti da tutta l’America con i mezzi più disparati.

Nella culla della democrazia, Trump pensava di fare i suoi giochi, denunciando inesistenti brogli elettorali. Singolare prospettazione, in quanto la gestione delle elezioni è stata in capo al suo governo. In genere i brogli - non però negli Stati democraticamente governati - avvengono quando il capo dello Stato - non solo notaio come da noi - governa con pieni poteri a tutto campo, sorveglia con giustificato interesse lo svolgimento delle consultazioni. Semmai eventuali brogli avrebbero potuto essere lamentati da Biden, in posizione diversa ed assai meno garantita, in rapporto ad un presidente così determinato e convinto di ottenere la rielezione. Di tale determinazione ed autoritarismo sanno qualcosa i tanti cacciati senza motivo.

Sarà dura lasciare la Casa Bianca, dopo aver sproloquiato fin dall’inizio della consultazione e successiva verifica dei voti espressi, con il tentativo - apparso infantile e ridicolo - di fare invalidare i consensi a mezzo posta, ammontanti a parecchi decine di milioni. Dalla certezza della vittoria, presa sul serio dai sostenitori – non solo pancia, come per Salvini, ma ceti abbienti, colti, benestanti, che avevano convenienza al protrarsi di una situazione positivamente goduta - è passato a: "Il tempo dirà chi entrerà in carica a gennaio". La manifestazione dei sostenitori pare essere stata l’ultima.

Molti si sono stupiti per la differenza solo di qualche milione di voti popolari a vantaggio di Biden. Da ciò per qualcuno emergono timori di scarsa tenuta del nuovo governo, soprattutto per la maggioranza repubblicana al Senato, che potrebbe difficoltare l’azione legislativa. Nell’ordinamento giuridico statunitense il presidente, pur senza l’appoggio del congresso, può operare con atti presidenziali, evitando così posizioni di contrasto. Occorrono però determinazione e diplomazia. Per diluire la colorazione attuale della Corte Suprema, a maggioranza repubblicana, Biden potrà cercare di aumentare il numero dei giudici, che egli stesso potrà nominare. L’operazione non pare semplice, né di breve durata. Il nuovo presidente, con l’aiuto non solo formale, della vice, cercherà di governare con accortezza e determinazione. Non gli mancano capacità politica ed esperienza.

Piercarlo Barale 

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