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Visto da Cuneo: dai diritti violati nella storia degli afroamericani alle domande ancora scomode

CUNEO

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HENRIETTA YEBOAH - In questi giorni i media hanno dato ampio spazio ad un nuovo pestaggio da parte di poliziotti americani bianchi in Louisiana avvenuto due anni fa. Vittima ancora un afroamericano, ucciso a botte, colpito con il taser, ammanettato e lasciato morire sul marciapiede. Era fermo, braccia alzate e gridava, all’avvicinarsi minaccioso degli assassini in divisa, “I’m scared!” (ho paura). Si chiamava Ronald Greene e aveva 49 anni. Era disarmato, non aveva opposto alcuna resistenza. Questa è - forse non tutta così, per fortuna - la polizia americana. Più volte assassina di afroamericani inermi, con le braccia in alto, indifesi, senza armi. L’episodio risale al maggio del 2019. È stato nascosto per omertà dai superiori. Le indagini erano state sviate dagli stessi agenti, che riferirono che Greene era morto a causa di uno schianto con la sua auto contro un albero. Ora la giustizia dovrebbe procedere. Ancora una volta, e chissà quante altre ancora. 

Si sente spesso dire: "L’America non è un paese per neri". Ma l’America lo deve diventare. La storia degli africani negli Stati uniti ha inizio nel Cinquecento. Dopo secoli e secoli troppo poco è cambiato. Dall'inizio del sedicesimo secolo, forte è stata la richiesta di schiavi neri dall’Africa per le coltivazioni di caffè e zucchero. Nasce così la tratta degli schiavi, determinanti per l’economia. È un vero e proprio commercio. I primi schiavisti furono portoghesi, all’inizio del sedicesimo secolo. I vinti nelle guerre, che di norma venivano uccisi, divennero schiavi: assai più utili ai vincitori.

In quella che viene definita l’età moderna, la fornitura di schiavi, regolare e costante, durò fino alla decisione degli inglesi di cessare la depredazione dell’Africa nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Questi venivano prelevati dall’Africa orientale e portati nei paesi arabi ed anche in India. Dall’inizio del diciassettesimo secolo, la tratta si diresse, dall’Africa occidentale, verso l’America. I più robusti, giovani e forti, dal Mali, Ghana e altre zone del delta del Niger venivano trasportati attraverso l’atlantico. Nel corso del 500 i deportati furono circa un milione. Nel 600 diventarono 2 milioni e 750 mila. 7 milioni nel 700. Si ridussero a 4 nell’800, dopo un tardivo pentimento degli inglesi, spinti verso una maggiore umanità dalle varie chiese locali. All’inizio della tratta, i sovrani del golfo di Guinea vendevano i loro cittadini già ridotti in schiavitù in patria. Successivamente i mercanti europei catturavano a fucilate giovani nei villaggi e li portavano sulle navi ormeggiate. Tenuto conto che circa la metà degli schiavizzati moriva nella traversata atlantica per malattie, malnutrizione, rivolte sedate con uccisioni di massa, naufragi, giunsero in America un totale di circa 13 milioni 750 mila giovani, strappati all’Africa ed alle famiglie. 

Oggi, oltre il 95% dei poliziotti che subiscono un processo negli Usa per avere colpito degli afroamericani inermi vengono poi normalmente assolti. Sono poi innumerevoli le semplici mortificazioni. Ricordo quanto accaduto all’allora senatore Obama, poi divenuto il primo presidente nero degli Stati Uniti, ad un ricevimento. Un partecipante gli si rivolse: "Ragazzo, portami un cocktail", scambiandolo per un cameriere. Il giovane senatore andò a prelevarlo al catering e lo portò, impeccabile, su un vassoio. Si faticò molto negli Usa per arrivare ad una parità tra bianchi e neri scritta in Costituzione. Non si è ancora arrivati oggi a realizzare il dettato che tante opposizioni provocò nei Paesi del Sud.

Fino agli anni Trenta dello scorso secolo, nel profondo sud - Texas, Alabama, Louisiana -, in piccole comunità alla domenica, dopo la cerimonia religiosa e la passeggiata con "l’abito buono", tutti i bianchi assistevano all’impiccagione di uno o più neri. Erano stati condannati a morte, in modo assai spiccio, per essere fuggiti o avere commesso qualche reato dalle conseguenze mortali. Si trattava di uno spettacolo festivo. 

Quando ero bambina, talvolta con riferimento evidente al colore della pelle, mi veniva domandato: "Da dove vieni?". Penso non ci fosse cattiveria nella richiesta, né malizia, ma ho sempre avuto difficoltà nel rispondere a questa domanda, che successivamente capii essere fastidiosa e discriminatoria. A questo quesito accompagnavano occhi curiosi che guardavano come se fossi un animale esotico, qualcosa di inconsueto, raro e anormale.

È triste come il comportamento dei poliziotti americani sia accettato invece come normalità. Un nero che commette un reato o che è da ritenere un pericolo pubblico non è la regolarità. Non deve nemmeno essere prassi nel 2021 questo inquietante ed ingiustificabile sentimento di superiorità dell’uomo bianco e la legittimazione delle violenze sui neri. Fortunatamente, non esistono più uomini predestinati alla schiavitù, razza superiore o inferiore, cultura migliore o peggiore. Esiste una terra, che dev’essere un luogo ospitale, sicuro e colmo di opportunità per chiunque. 

Henrietta Yeboah, studentessa al liceo classico "Silvio Pellico" di Cuneo

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