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Terreni da edificabili ad agricoli: dietrofront dell'edilizia a Cuneo

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Il Consiglio comunale di Cuneo, in ottobre, esaminerà le richieste di alcuni proprietari di aree edificabili, tendenti ad ottenere, con una variante parziale al Prg, il ritorno alla destinazione agricola. Si tratta di scelte e non imposizioni, che porrebbero l'Amministrazione comunale in difficoltà. Superabile peraltro, stante la totale discrezionalità del Comune nell'ambito della pianificazione urbanistica, quando le delibere siano ampiamente motivate sul dietro-front.

Il Comune adeguerà - come deve avvenire - il Piano Regolatore vigente, sulla base delle mutate situazioni in campo edilizio, successive alla crisi globale, i cui effetti, purtroppo, perdurano. L'edilizia abitativa e quella industriale, artigianale e commerciale, sono pressochè in catalessi da parecchi anni e non vi è accenno ad un ritorno alla vita.

Chi aveva ottenuto, nel Piano vigente, l'allora ambita destinazione edificabile, si è trovato non solo con un pugno di mosche, ma destinatario di pesanti versamenti Imu. Il Comune incasserà circa 65 mila euro, in meno, ma soltanto dalla approvazione della delibera, cioè per il 2017. Avrà anche minori entrate per gli oneri concessori, in quanto sulle aree che ritorneranno agricole non verrà edificato alcun edificio. Tali oneri non rappresentano però una perdita secca, in quanto sono il corrispettivo che l'ente incassa a fronte dell'utilizzo delle aree in base alle prescrizioni di zona. Servono per l'incremento dei servizi generali indivisibili - scuole, servizi e aree comunali - nonchè per la viabilità, pubblica illuminazione, acquedotto, fognatura.

Perciò il Comune non incasserà, ma non sarà tenuto, in assenza di aumento di carico urbanistico, a potenziare le scuole ed il trasporto studenti, le aree a parcheggio, e tutto ciò che viene organizzato e gestito per il benessere sociale, la sicurezza pubblica, l'istruzione di ogni livello.

I proprietari richiedenti la modifica conseguono un notevole risparmio e si trovano in sintonia con l'intendimento, espresso in sede statale, di ridurre la cementificazione, risparmiare il verde, fare un saggio ed opportuno riuso dell'edilizia esistente. Fin dal 1978 la legislazione statale ha indicato, nei Piani di recupero di iniziativa pubblica e privata, precise modalità per il riuso del patrimonio edilizio esistente. Come succede spesso, non ha finanziato quelli di iniziativa pubblica.

Prevedevano l'esproprio dei fabbricati, i cui proprietari non aderivano a tale strumento urbanistico esecutivo, impedendo così di realizzare l'effettivo riuso di fabbricati fatiscenti da demolire. Hanno avuto invece attuazione, in parecchi casi, quelli ad iniziativa privata.

Quasi sempre quando una sola impresa acquistava tutti i fabbricati facenti parte del Piano di recupero. In alcuni casi due o tre imprese si sono accordate ed hanno proceduto congiuntamente alla realizzazione di un progetto condiviso disponendo di tutto il fabbricato. Avrebbe consentito di rimodellare interi quartieri - o almeno comparti edilizi - mentre talvolta è stato strumentalmente applicato ad interventi su singoli fabbricati o addirittura su parti di fabbricato. Infatti si può, con tale strumento, conseguire i vantaggi - previsti dal Prg - circa distanze, altezze, destinazioni d'uso.

Dopo aver cementificato buona parte del Bel Paese avviene ora un ripensamento. Ci si adatta alle mutate condizioni dell'edilizia di ogni tipo, che non assicura più, ai proprietari delle aree, consistenti guadagni, ma le sottopone all'Imu, senza alcuna previsione di reale utilizzo futuro.

Non è una ribellione verso la cementificazione, ma la presa d'atto che è meglio il verde, quanto meno sotto l'aspetto dell'Imu. Poi, si vedrà.

Piercarlo Barale

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