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Da Alba ai campi di fragole scozzesi nel 1978

ALBA

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TERESIO ASOLA - 17 anni. Il 12 luglio partii con quattro compagni di liceo (Fulvia, Isa, Vivi e il mio amico Alex). Locale per Torino e treno della notte per Parigi. Rimasi sempre sveglio.

A Parigi slalomammo nella folla fra petardi e fischioni. Prendemmo la metro e strinsi la mano di Fulvia. Dalla Torre Eiffel si dominava la città colorata da fuochi d’artificio. All’ostello non dormii perché un’orchestrina fece ballare i parigini fino alle cinque, nella piazzetta sotto.

Sul traghetto Boulogne-Folkestone insegnammo a due ragazze canadesi la canzone Ti amo, e dopo una terza notte in bianco sull’intercity Londra-Glasgow prendemmo il treno per Edimburgo; arrivati, ci sedemmo sull’erba del giardino vicino alla stazione Waverley, e crollai. Mi svegliai pochi minuti dopo, lo sguardo di Fulvia su di me. Salimmo su un vagone che trasportava merci di un locale per Dundee. Si parlò poco. I gabbiani gemevano. «Malinconici» disse Fulvia. A me piacevano. In autobus giungemmo all’azienda agricola di Forfar.

Il primo venerdì di paga trovai in busta 51 sterline e sessanta. Quella sera andammo tutti in una piccola discoteca dopo una birra al pub con i Morrison, padroni della fattoria. Ballai Rivers of Babylon e Brown Girl in the Ring con Fulvia, poi l’accompagnai al divanetto e le cinsi la spalla. Poi uscimmo, soli, nel tramonto. La sera dopo ci baciammo, dietro un sipario di pioggia profumata, mentre il sole si adagiava pigro sull’orizzonte. Volevo cantare«Les enfants qui s'aiment s'embrassent debout / contre les portes de la nuit».

Alle quattro il primo sole s’infilava nei finestrini delle baracche a svegliarci. Nel mio container dormivamo io, Alex, un gallese (Ian) cicciottello e un marocchino secco (Alim) che dopo il lavoro si profumava e usava le Lacoste degli altri per giocare a tennis; in quello di Fulvia c’erano lei, la sorella di Ian, Isa e Vivi. Alle sette colazione, poi al lavoro nei campi di fragole o nei capannoni a vagliare, inscatolare e pesare, dodici e trenta i panini di Mrs Semolina famosa per il suo semolino caldo da condire con marmellata di rabarbaro, poi il bucato subito asciugato dal sole, alle due lavoro fino alle cinque, doccia in baracca e prima delle sei cena con francesi, spagnoli, scozzesi, tedeschi, italiani.

Dopo, liberi. Io e Fulvia compravamo un Mars all’ufficio postale, poi da Iannarelli un fish and chips e al pub mezza pinta di scura chiacchierando con i Morrison e altri ragazzi. Infine, lei e io, al lago da cui tornavamo sotto l’ultimo sole, tristi per gli altri come nella canzone, accompagnati da una pioggerella calda. Oppure si faceva autostop per Glamis dove, fra lo stormire di fronda delle querce del castello e un improvviso suono di cornamusa, precipitava la nebbia. Oppure alla spiaggia di conchiglie rosa di Montrose. O Arbroath, o con tutti a Dundee alla piscina coperta.

Nei weekend, viaggi lunghi in autostop. «Ehi, lassie, you’re bonnie!» disse gioviale un automobilista a Fulvia, che sorrise. Strinsi la mano alla mia lassie. Ci si allungava fino a Perth o ad Aberdeen, tirati su nel mezzo della valle del Dee da un palombaro diretto a una piattaforma petrolifera. Arrivati, tè con biscotti Digestive in una tea-room e passeggiata sul lungomare bagnati dalla pioggerella fine mentre gli altoparlanti diffondevano Hotel California.

Se c’era il tempo, si andava a Glasgow e Gourock, raccolti da una coppia di anziani con i loro cani bianchi e neri come nella pubblicità del whisky. O a Oban, dove dormimmo, io e lei, su una panchina in collina, incuranti dell’auto della polizia che ogni due ore passava a controllare: ci svegliammo prima dell’alba per vedere l’aurora sul mare di Caledonia. Si salì a Inverness passando per Pitlochry e le basse colline pennellate del viola dell’erica del Royal Deeside.

Dopo un mese e mezzo, con Fulvia e le altre compagne di quarta Liceo tornai a Londra. Non Alex: lui e un amico romano erano andati ad Amsterdam per scendere, pollice alto, verso l’Italia.

A Cambridge apprendemmo da due giornali vecchi della morte di Papa Paolo VI, e pochi giorni dopo, a Parigi, di avere un Papa nuovo, Albino Luciani, qui sibi nomen imposuit Giovanni Paolo I. Il mondo esisteva ancora, era andato avanti anche senza me e Fulvia. Entrai gratis al Louvre, unico della compagnia a non aver compiuto diciott’anni; e a Notre Dame ci stringemmo la mano, lei e io, recitando in silenzio una preghiera.

Mi ha fatto male scoprire tanti anni dopo, nel 2007 con Fulvia e i nostri tre figli, che quei campi di fragole scozzesi sono diventati un quartiere di villette a schiera.

Teresio Asola

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