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Cuneo al Toselli tra Molière, Shakespeare, Eduardo e la contemporaneità

CUNEO

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ADRIANO TOSELLI - Continua un'altra stagione del cuneese Teatro Toselli di grande qualità, tra classici, interessanti novità e tante citazioni partenopee.

A dicembre è stato la volta di «classicissimo», «Il malato immaginario» di Molière, l’opera che ha visto l’ultima interpretazione del suo autore (che malato lo era sul serio, la traduzione più letteraria dal francese del capolavoro sarebbe «Il malato pazzo»), noto anche per bella pellicola (di quaranta anni fa) in cui protagonista era un grande Alberto Sordi (in cui l’ipocondria era soprattutto fuga dalla paura della violenza della società, in anni, quelli Settanta del secolo scorso, di disordini e terrorismo, di cui il Seicento era manzoniana metafora).

Realizzato dal «Teatro Franco Parenti», Argan (ruolo ricoperto ad inizio anni Ottanta dallo stesso Franco Parenti) è un bravissimo (pur nella serata un po’ giù di voce) Gioele Dix (sessantenne, che trentina di anni fa era stato il giovane Cleante), con a fianco Anna Rosa (nel ruolo della fedele «Tonina», Antonietta), ha avuto il prevedibile «pienone», in platea, palchi e gallerie, come sempre capita, a Cuneo, con simili momenti...

La regia resta quella dell’allestimento precedente, di Andrée Ruth Shammah, con una ambientazione sfrondata degli orpelli barocchi e portata a sobrietà novecentesca, tutti gli attori assolutamente all’altezza (il successo si ripete ad ogni replica), attorno alla poltrona rossa del malato, sempre centro della scena.

Il protagonista, cercando di evitare le proprie responsabilità sociali e famigliari, gioca con le cure delle sue supposte malattie, dietro cui si trincea.

Le vuol decidere in prima persona, senza scialare troppo, quasi a sfogare una vocazione mai appagata alla medicina. Centrali sono i rapporti umani, con le conflittualità, gli amori ed affetti, le sincerità (della figlia) ed ipocrisie (della seconda moglie), da cui prova a defilarsi, affreschi nei quali eccelleva Molière, come tutti i grandi maestri del teatro, sapendoli tratteggiare con eleganza ed espressività. Bersaglio restano i medici, quelli ottusi e legati alla tradizioni, disinteressati alle innovazioni, ai nuovi studi (è copione scritto in anni di grandi scoperte), più portati a pensare alle parcelle...

Non si è ripetuto il «tutto esaurito», pur sempre con pubblico numeroso, per il successivo appuntamento, del giorno dopo l’Epifania, domenica sera 7, forse un po’ per il periodo finale delle feste natalizie o per un «taglio» presentato, molto «napoletano», con la lingua partenopea parlata molto «stretta» e veloce, da non coglierla in tutte le sue sfumature (ma sempre con la sua grande espressività).

Mario Martone, regista noto anche cinematograficamente, certo uno dei migliori nell’esprimere la contemporaneità meridionale, presenta sui palcoscenici nazionali un testo di Eduardo De Filippo, «Il sindaco del Rione Sanità», aggiornato, reso vivo, da evocazioni alla «Gomorra», con un cast di livello assoluto, che unisce «Elledieffe», «Teatro Stabile Torino», «Teatro Nazionale» e «Nest», «Napoli Est Teatro» di San Giovanni a Teduccio, «teatro di periferia e sfide».

Il protagonista, Antonio Barracano, «uomo d’onore», magistralmente interpretato da Francesco Di Leva, non è vecchio boss al tramonto, ma giovane energico, che amministra la giustizia con violenza e regole non scritte, parallele alle leggi, alla ricerca di una sua «giustizia». È un «Salomone sotto il Vesuvio», temuto e rispettato, con cani feroci che gli mordono la moglie e la figlia bambina che lo adora, saggio, generoso e clemente verso coloro che gli si rivolgono, nel quale non si riesce ad evitare di vedere tratti positivi (ed inquieta).

Al suo fianco, legatissimo a lui, è il frustrato medico Fabio Della Ragione, Giovanni Ludeno, che sogna la fuga in America, il cominciare una vera carriera professionale. Un figlio di ricco e spietato panettiere, disconosciuto e diseredato, ridotto sul lastrico, che medita vendetta cruenta verso il padre (che preferisce nuova compagna dell’Est), con al fianco la fidanzata incinta, gli rievoca ricordi di un suo violento delitto iniziale, dal quale era riuscito a restare impunito.

A porre fine alla sua vicenda umana, al suo «regno», sarà proprio il panettiere, Arturo Santaniello, portato in scena da Massimiliano Gallo, l’unico personaggio che si sente «pari» di Barracano, che non gli riconosce alcuna autorità, che lo accoltella, terrorizzato.

La fine tragica, durante una cena, è resa grande dalla decisione di evitare ogni vendetta, di «mettere tutto a posto» (inclusa la sistemazione economica del figlio del panettiere e della sua famiglia), di perdonare, di benedire la partenza del «dottore»...

Il prossimo momento è quello di questa sera, domenica 14, sempre alle 21, con «Coriolano», l’ultima tragedia, di inizio Seicento, attribuita a William Shakespeare, diretta da Marco Plini, con Marco Maccieri, realizzata dal «Centro Teatrale MaMiMò», col sostegno della «Fondazione I Teatri». Opera molto «politica», che come altre dell’autore molto parlano dell’epoca cui l’autore creava, in questo caso i primi anni di governo di Giacomo I Stuart, figlio della decapitata Maria Stuarda, erede scozzese di Elisabetta I Tudor, uno dei massimi teorici dell’assolutismo reale (e nell’Inghilterra abituata ad un potere monarchico limitato ormai da tre secoli si arrivò alla rivoluzione, con decapitazione del successivo re, Carlo I). Caio Marzio Coriolano (ce ne parlano Plutarco ed i mai affidabilissimi storici dell’epoca), valoroso generale romano nella guerra contro i Volsci, contrario alla Repubblica che sta nascendo, al suo essere, coi «tribuni» troppo «democratica», arriva al tradimento, di cui si pente solo per intervento della madre. La versione di Plini, con personaggi in giacca e cravatta, parla della attualità dell’opera, adatta anche ai nostri tempi, non solo al seicento scespiriano...

Domenica sera 21 sarà la volta di «Le prénom» («Cena tra amici»), di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière, versione italiana di Fausto Paravidino, regia di Antonio Zavatteri, con Alessia Giuliani, Alberto Giusta, Davide Lorino, Aldo Ottobrino, Gisella Szaniszlò, scene e costumi di Laura Benzi, luci di Sandro Sussi.

Si tratta di riflessioni, che diventano sempre più profonde e drammatiche, durante una cena di quarantenni a casa di due professori... Messo in scena nel 2010, a Parigi, forte quadro del fallimento di una generazione, ha già riscosso premi e dato spunto a paio di film (uno della italiana Archibugi)...

Maggiori informazioni e dettagli su modalità di vendita e costi alla pagina «Teatro Toselli» del sito www.comune.cuneo.gov.it

Adriano Toselli

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