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Come è cambiata la vita di Rama e Mengstab, accolti a Saluzzo grazie ai "Corridoi umanitari"

SALUZZO

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CUNEO CRONACA - "Il governo di Dio sulla terra, persona di buon cuore, uomo di grande forza, pace: hanno significati suggestivi i nomi della famiglia arrivata a Saluzzo, in provincia di Cuneo, tre anni fa, grazie ai "Corridoi Umanitari". Padre, madre, due maschietti di 6 e un anno: nelle loro lingue natie (amarico in Etiopia e tigrino in Eritrea) l’espressione della speranza per una vita che qui prova a ripartire.

Sono ricchi di gratitudine i sorrisi di Rama e Mengstab, i due genitori, quando raccontano dell’accoglienza ricevuta grazie alla Caritas. L’Italia l’hanno conosciuta passando da Fiumicino alla Sicilia, qualche mese con Caritas Agrigento poi Saluzzo. Tappe di un approdo sicuro, creato dal progetto "Corridoi Umanitari", avviato nel 2015 dalla Cei e dalla Comunità di Sant’Egidio, prima dalla Giordania poi nel 2018 dall’Etiopia e dal Niger.

Un’iniziativa coordinata e proposta da Caritas Italiana alla quale la nostra Diocesi ha aderito per creare vie sicure e legali, permettendo a famiglie particolarmente vulnerabili conosciute da Caritas nei campi profughi, di raggiungere l’Europa per fare domanda di asilo, senza rischiare la morte e la tratta durante il viaggio.

Sul volo per Roma la famiglia, partita da un campo etiope nella regione del Tigray dove ha vissuto insieme a profughi eritrei, sudanesi e somali, aveva occupato tre posti. Oggi c’è un nuovo arrivato che proprio a fine settembre, in coincidenza con la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato (26 settembre), ha spento la sua prima candelina.

Rama, 34anni, originaria dell’Etiopia, vendeva mobili di seconda mano, in tasca un diploma come tecnico di laboratorio. Della sua terra natale racconta con estrema minuzia il rito del caffè, che in quelle valli ha trovato la sua culla, e conserva con grande cura una brocca tradizionale per servirlo (tra le poche cose che, ammette, sono riusciti a portare nel viaggio verso l’Italia).

Mengstab, 49 anni, è nato in Eritrea e ad Addis Abeba faceva il giornalista in una testata dell’opposizione alla dittatura. Di qui le motivazioni della persecuzione, la fuga per tenere al sicuro i suoi cari e gli anni durissimi nel campo profughi dove è nato il primo figlio. Come tutti gli eritrei, infatti, ha dovuto sottostare alla leva militare obbligatoria che inizia a 16 anni e dura tutta la vita. Spostarsi autonomamente è impossibile: il passaporto e l’autorizzazione a lasciare il Paese devono essere concessi dal governo. Varcare il confine senza permesso è un reato che comporta minacce e persecuzioni per sé e la propria famiglia. Dopo la fuga in Etiopia, l’attività giornalistica lo porta a spendersi per la causa dei rifugiati politici eritrei contro il governo di Afeweki. Anche per questo motivo è stato scelto come beneficiario dei Corridoi Umanitari.

Entrambi descrivono l’Etiopia e l’Eritrea come Paesi molto simili, accomunati da culture e scambi, dove la popolazione si divide tra una moltitudine di etnie, in una convivenza pacifica, anche tra cattolici e musulmani (la loro religione). Oggi l’Etiopia è un Paese martoriato dalla guerra scoppiata un anno fa quando a seguito di una tornata elettorale non autorizzata in cui aveva vinto il Fronte per la liberazione del Tigray, l’esercito etiope ha attaccato la regione con l’aiuto di quello eritreo e delle milizie di etnia ahmara. Un conflitto che ha reso disumana la vita nei campi profughi (l’UNHCR ha più volte denunciato l’assenza di forniture e servizi per mesi, la mancanza di accesso all’acqua potabile con il conseguente proliferare di malattie). Inoltre l’apertura del confine con l’Etiopia ha consentito l’ingresso delle milizie eritree e della spie della dittatura (da quando ha conquistato l’indipendenza nel 1993, dopo oltre 30 anni di guerra, l’Eritrea è di fatto una dittatura totalitaria nelle mani dell’unico presidente Isaias Afwerki). Amnesty International ha denunciato la sparizione dai campi profughi di dissidenti politici fuggiti dal Paese (tra loro anche persone selezionate dalla Cei per i Corridoi Umanitari che infatti si sono bruscamente interrotti).

Oggi la casa della famiglia di Rama e Mengstab è Saluzzo, dove i primi nomi che hanno imparato sono Virginia, Alessandro, Gioele (gli operatori della nostra Caritas che li hanno portati qui tre anni fa), insieme a quelli dei volontari (Paola, Stefano, Graziella e Piero). In città da qualche mese li abbiamo aiutati a cambiare casa, per aggiungere una stanza per il nuovo nato. “Nostro figlio più grande – racconta Rama – chiama “nonna” Graziella” (un’ex insegnante che l’ha aiutata con l’italiano). Dopo tre anni il loro percorso verso l’integrazione è tutt’altro che privo di difficoltà.

Il primo ostacolo è la lingua (lei ha ottenuto la licenza media ed entrambi hanno seguito i corsi al C.P.I.A.) poi la ricerca del lavoro (Rama ha frequentato un corso sulla somministrazione e uno sull’accoglienza in strutture ricettive, suo marito invece sta prendendo la patente e attraverso la Caritas ha trovato un tirocinio di 4 mesi presso una ditta di elettronica, ma è stato l’unico impiego di quest’anno, così due volte a settimana fa il volontario nell’Emporio della Solidarietà). A questi si aggiungono i problemi con i documenti: il passaporto di lei (che sta rinnovando un permesso di ricongiungimento famigliare con il marito e i figli, tutti titolari dello status di rifugiati politici / asilo) è stato smarrito in Sicilia e il rimpallo tra le Questure blocca la richiesta di rinnovo (“senza documenti è come stare in prigione” dicono, aggiungendo “vogliamo rimanere qui, ma prima dobbiamo aggiustare il passaporto”).

Un punto fermo per il loro presente e futuro è la scuola: "E' importante per i bambini – dicono – e anche per noi, per imparare la lingua”, così come l’aiuto di Caritas: "Conosciamo delle famiglie – raccontano – persone di Caritas, di Saluzzo, sono sempre tutti molto gentili con noi”. L’integrazione, invece, passa attraverso la relazione con le persone e le opportunità di frequentare la comunità. Rama ha conosciuto, ad esempio, l’Associazione Penelope che l’ha coinvolta nelle sue attività, vista la sua passione per il telaio e il cucito. La speranza, questa volta nostra, è che i loro Paesi d’origine possano finalmente conoscere la pace che hanno iscritto nel nome del loro ultimo figlio. E per loro, che si aprano nuove opportunità di inclusione attraverso il contatto con la comunità saluzzese, oltre a nuove prospettive di lavoro.

La nostra Caritas è sempre alla ricerca di volontari che vogliano sostenere percorsi di accoglienza come i “Corridoi Umanitari”. Per chi volesse conoscere questa famiglia e aiutarli in qualche modo (nella ricerca di un impiego, con qualche ora di chiacchierate in italiano o semplicemente organizzando una gita insieme per scoprire il territorio) può scriverci a info@caritassaluzzo.it".

(Testo e foto tratti dal sito della Caritas Saluzzo)

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