CUNEO
ELISA AUDINO - Lavoro e reddito non sono necessariamente collegati, tutt'altro, e, anzi, la povertà assoluta è in costante aumento. Lo ha detto a Cuneo Chiara Saraceno, una delle più importanti sociologhe italiane, con numerosi incarichi istituzionali all'attivo, invitata a presentare il suo ultimo testo 'Il lavoro non basta' a Scrittoriincittà, nel centro incontri della Provincia.
Se per anni si è pensato che si dovesse semplicemente intervenire sulla leva occupazionale per aumentare il reddito, la realtà ha dimostrato che politiche di questo tipo si sono rivelate del tutto cieche. Già prima della crisi, alcuni paesi europei (tra cui Germania e Svezia) avevano registrato un aumento della povertà pur in presenza di contemporanei incrementi occupazionali. In Italia, qualcosa di simile: prima della crisi, il mercato del lavoro era fermo, ma il reddito diminuiva. Cosa stava succedendo? Molto semplicemente, l'aumento occupazionale aveva riguardato soprattutto lavoro poco pagato, discontinuo e a tempo parziale. Poi, la crisi è intervenuta a peggiorare una situazione già delicatissima.
Flessibilità e distribuzione disomogenea del lavoro remunerato, sia per genere (l'Italia ha il tasso occupazionale femminile ai minimi europei, davanti solo a Grecia e Spagna) sia per classe sociale, connotano il mercato lavorativo italiano. La domanda di lavoro (intendendo come domanda quella dell'impresa) è 'selettiva' per Chiara Saraceno e tende a riprodurre le condizioni economiche di partenza.
Il primo risultato delle sbagliate politiche occupazionali e della crisi economica è stato un aumento esponenziale della povertà, non tanto su base individuale, ma su base familiare. Non necessariamente un lavoratore precario ha un basso potere d'acquisto: spesso i giovani protraggono strategicamente la loro permanenza in famiglia e riescono, pertanto, ad accedere al consumo senza grosse difficoltà. A farne le spese maggiori sono, invece, le famiglie, in cui spesso c'è almeno un lavoratore ma anche un grosso squilibrio tra 'reddito disponibile e numero di componenti'.
L'Italia e la Romania, di fatto, sono i paesi in cui è aumentata di più la povertà dei minori su base percentuale e, quindi, quella familiare. Dal 2008 al 2014, in Italia, il numero dei minori in condizioni di povertà assoluta è, infatti, triplicato fino ad arrivare ad un abnorme cifra di 1.046.000 minori, di cui, però, ed è questo il dato più grave, 800.000 circa vivono in famiglie in cui c'è almeno un occupato. Per questo, ci dice Saraceno, 'Il lavoro non basta'.
Certamente, gli scogli principali sono, insieme al lavoro 'a pezzi', il bassissimo tasso di occupazione femminile (davanti solo a Grecia e Spagna in Europa), ma anche un welfare del tutto categoriale. Si pensi agli assegni familiari, che premiano solo il reddito da lavoro dipendente, con un meccanismo che scoraggia il lavoro femminile e tiene fuori colori i quali ne avrebbero più bisogno: i più poveri. Tutti i meccanismi basati sulle detrazioni fiscali hanno questa enorme pecca: lo stesso vale per gli 80 euro, che hanno finito per richiedere un enorme dispendio di risorse, escludendo di fatto i meno abbienti e calcolando i beneficiari in base al reddito individuale e non familiare, distribuendo, così, la maggior parte del denaro a quei lavoratori che godono di un reddito familiare ben al di sopra della soglia indicata come prima destinataria della misura.
Così ha sbagliato la vecchia social card che considerava come destinatari delle risorse solo i bambini poveri sotto i tre anni: i bambini sono poveri non perché hanno meno di tre anni, ma di solito perché hanno fratelli e sorelle. Così sta sbagliando il governo che intende stanziare solo 800 milioni di euro per le famiglie povere con almeno un minore, quando in realtà la stessa commissione Giovannini ne aveva indicati necessari almeno 1 miliardo e mezzo. Nulla rispetto a quanto ci è costato il bonus degli 80 euro e a quanto ci costerà l'eliminazione della Tasi. Altro parametro per l'accesso alle risorse è l'ISEE al di sotto dei 3000 euro. Ma a, continua la Saraceno, una famiglia con un reddito di 15.000 euro lordi l'anno e una casa in proprietà ha l'ISEE pari a 6000 eu. Un limite decisamente troppo basso, che ricorda la sopra citata Social card che finì per lasciare moltissime risorse non distribuite, nell'impossibilità di rispettare i vincoli richiesti.
Le misure categoriali, per Chiara Saraceno, non fanno che accrescere le diversità in un paese già irrimediabilmente categoriale, mentre quello di cui realmente necessiteremmo è uno strumento universale che usi come unico criterio il diritto individuale su base familiare. L'Italia, insieme alla Grecia, è, infatti, l'unico paese europeo a non avere un sistema di garanzia per i poveri, qualcosa di simile al reddito di cittadinanza del M5S, a cui, per questo motivo, la Saraceno afferma di essere grata, pur non essendone una sostenitrice.
Elisa Audino