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Cheese a Bra: dall'Ucraina fino a Piemonte e Liguria, premiati i casari e gli allevatori "resistenti"

BRA

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CUNEO CRONACA - La passione e la dedizione che dimostrano nella loro ricerca della qualità mantiene vivo uno straordinario patrimonio di competenze e paesaggi tradizionali. Si tratta di produttori di piccola scala che, nonostante il duro lavoro, i rischi e l’isolamento che comportano le loro scelte, continuano a resistere. I premiati sono stati selezionati sulla base del loro impegno, non solo nella produzione di formaggi naturali a latte crudo, ma soprattutto nell’allevamento equo e rispettoso degli animali.

Ecco chi sono i premiati per Resistenza Casearia 2023 della quattordicesima edizione di Cheese.

Tetyana Stramnova, Ucraina

Una donna casara/pastora/allevatrice che svolge un ruolo cruciale nella conservazione dei saperi e delle tradizioni - premio intitolato ad Agitu Ideo Gudeta: Tetyana Stramnova – Ucraina. Il premio è consegnato a Cheese da Reale Mutua.

Perché nonostante la guerra, la paura, il pericolo che incombe ogni giorno sulla sua terra, Tetyana Stramnova ha trovato il coraggio di ricominciare, partendo da un piccolo allevamento di capre. Grazie all’energia che le trasmettono i suoi figli, ha la forza di andare avanti, e occuparsi di educazione e di programmi per i bambini affetti da autismo.

Tetyana Stramnova ha iniziato come designer di interni a Donetsk e ha avviato la sua fattoria quando ha avuto il primo figlio, iniziando ad allevare quaglie. Quando i russi sono arrivati nella regione, lei e la sua famiglia se ne sono dovuti andare e si sono spostati Muzikyvka, nella regione di Kherson. Lì hanno cercato di ripristinare l’allevamento di pollame, ma l’attività è fallita. 

«In realtà sono i miei figli che hanno scelto Muzikyvka come luogo in cui rimanere, perché l’hanno percepita come una casa a prima vista». 

Qui, Tetyana ha deciso di fare qualcosa di nuovo: ha iniziato ad allevare capre di una razza locale da salvare, caratterizzata dalle orecchie corte, e ha imparato a fare il formaggio. Così è nato l’allevamento Amalthea, dal nome della sua prima capra. Accanto alla produzione, ha iniziato a organizzare escursioni per i bambini disabili. Alla vigilia dell’invasione, il consiglio del villaggio le ha assegnato un terreno per la costruzione di un caseificio.

A quel punto avrebbe dovuto trovare i soldi per realizzare i locali e le attrezzature, ma ha invece dedicato tutti i mesi successivi a tentare di proteggere dai russi quel che era riuscita a creare. Terminata l’occupazione di Muzikyvka, tutto è ricominciato quasi da capo. 

«I miei figli sono affetti da un disturbo dello spettro autistico e gli insegnanti mi hanno fatto notare che sono migliorati molto, sentendosi più sicuri e positivi. Per questo ho deciso di iniziare a organizzare delle attività in fattoria, e ho sviluppato una metodologia per insegnare ai bambini con autismo».

Tutto questo, resistendo e difendendo la terra e la vita dai continui attacchi, e vivendo costantemente sotto stress e paura. 

«La mia motivazione principale sono i bambini. Devo lasciare qualcosa per loro, per questo ho ricominciato più volte. Dobbiamo andare avanti con la nostra vita».

Marcello Villa, Liguria

Un anziano casaro/pastore/allevatore, custode di un sapere antico e punto di riferimento per le nuove generazioni: Marcello Villa – Liguria. Il premio è consegnato a Cheese da Qba.

Perché ha saputo creare una comunità solidale di allevatori, ha motivato i più giovani e, attraverso la riscoperta della razza cabannina, ha dato un’opportunità di riscatto alla Val d’Aveto, un’area montana ligure difficile e a rischio di spopolamento. E perché a tutto questo, ha dedicato la sua vita.

Marcello Villa è un veterinario dell’entroterra genovese. Nelle piccole aziende di questo territorio montano ha esercitato la professione per tutta la vita, con dedizione e impegno. La passione per gli animali, e in particolare per una razza bovina piccolina, robusta e agile, che non aveva un nome ma che tutti nelle campagne del Levante ligure un tempo chiamavano “nostrana”, è stata, ed è tuttora, al centro della sua vita.

Come dice Marcello: «La cabannina è la vacca dei genovesi, anche se questi non ne sono consapevoli: è necessario ricordarglielo, per sostenerla. Noi liguri siamo gente di terra, non di mare».

E questo ha fatto, costantemente e senza cedimenti: testimoniare il valore della cabannina, scongiurare l’eventualità di perderla, convincere e stimolare gli allevatori a collaborare tra loro e unirsi per recuperarla e favorire la sua riproduzione.

Grazie alla sua passione e alla grande capacità di condivisione, questa razza autoctona non solo è stata salvata, passando dai pochi capi in purezza ritrovati a Cabanne, ai 400 attuali, ma oggi è protagonista di un grande lavoro di valorizzazione collettivo e solidale i cui frutti sono stati prima l’associazione Aparc e successivamente, nel 2010, l’avvio del Presidio Slow Food.

Dalla Val d’Aveto, un’area montana, difficile, a rischio di spopolamento, collocata tra la città metropolitana di Genova e la provincia di Piacenza, la cabannina è rinata, diventando un emblema di come una razza antica, apparentemente inadeguata alla zootecnica moderna perché meno produttiva delle razze commerciali, sia in realtà un elemento chiave per garantire nuove opportunità alle terre alte e una speranza per chi vuole allevare con rispetto e in armonia con la natura.

David Nedelkovski, Macedonia

Un giovane casaro/pastore/allevatore che ha scelto di vivere in montagna e continuare a produrre e allevare, nel solco della tradizione: David Nedelkovski, dell’azienda Kozi Mieko Planina, Macedonia. Il premio è consegnato a Cheese da eViso.

Perché, ancora giovanissimo, ha lasciato la capitale per vivere in un piccolo villaggio e si è innamorato della montagna, delle capre, del formaggio a latte crudo. E ha deciso di dedicare la sua vita alla salvaguardia della biodiversità di queste terre e alla felicità dei suoi animali.

David ha poco più di 30 anni, ma già dieci anni fa ha lasciato Skopje (la capitale della Macedonia) e si è trasferito nel piccolo villaggio di Rastak, ai piedi delle montagne Karadak, dove ha creato la fattoria Kozi Mleko Planina insieme alla sua famiglia. Qui David alleva capre di razza caprina alpina e domestica dei Balcani, definendosi un “cosacco”, ovvero un “uomo libero”. David produce diversi tipi di formaggio fresco o stagionato, tutti a pasta dura o semi dura.

Insieme ai suoi vicini, ha avviato alcuni importanti progetti per ripristinare la biodiversità e per tutelare le montagne in cui vivono. Quando hanno deciso di trasferirsi in montagna, il progetto era quello di produrre latte e formaggio e tornare in città, ma la vita nella natura ha catturato i loro cuori. 

«Vado sempre più di rado a Skopje, amo vivere qui circondato dalla famiglia e dai miei animali». Guardando al futuro, ammette di avere troppi progetti! Prima di tutto, vorrebbe aiutare le persone a capire l’importanza dei prodotti a latte crudo e del benessere degli animali, o del rapporto tra allevatori e veterinari. Ma la sua priorità è che «le capre siano felici».

Ekateryna Prichodko ed Eros Scarafoni, Marche

Un produttore straniero, un migrante, che pratica in Italia l’arte casearia o l’allevamento: Ekateryna Prichodko ed Eros Scarafoni, Marche. Il premio è consegnato a Cheese da Bbbell.

Perché, insieme, rappresentano un esempio di solidarietà, collaborazione, amore per la terra, per gli animali, e per il formaggio fatto bene. Soprattutto, perché testimoniamo che la fratellanza può aiutare a superare il dramma della guerra e generare speranza per il futuro.

Ekaterina Prichodko prima della guerra era la titolare di una piccola azienda agricola nella zona di  Buča, vicino a Kiev. In Ucraina allevava capre e produceva formaggi. Qualche anno fa l’incontro con Slow Food e l’invito a Terra Madre 2022.

Poi la sua zona è stata bombardata ripetutamente ed è diventata un luogo insicuro e pericoloso per la sua famiglia. Per questo ha deciso di partire e di affrontare un viaggio lungo e difficile.

Ha attraversato l’Europa insieme ai tre figli, tre cani e un gatto. Ekaterina è una casara ma anche una veterinaria, ed è membro di Cheesemakers of Ukraine e di Slow Food Ucraina. Si è rivolta a queste associazioni per chiedere aiuto e consigli. La sua storia è stata pubblicata sui social e ha iniziato a circolare. Nel marzo scorso, attraverso un docente di Pisa è arrivata fino a Eros Scarafoni che ha accettato immediatamente la sua richiesta di ospitalità.

Eros Scarafoni è allevatore e produttore nel sud delle Marche. La sua azienda – Fontegranne – è nata nel 1968. Per trent’anni ha prodotto latte, ma dal 2000, Eros ha trasformato una stalla in caseificio ed è iniziato un percorso nuovo. Oggi Fontegranne produce formaggi, salumi, verdure sottolio, olio, olive, uova… Eros è un produttore che mette in pratica e promuove una precisa filosofia di produzione. Sul sito internet della sua azienda, in bella vista, il Manifesto di Slow Food in difesa del latte crudo. 

«Il formaggio a latte crudo è molto più di un cibo meraviglioso – spiega Eros – è l’espressione autentica di una delle migliori tradizioni gastronomiche. È un’arte e uno stile di vita. È una cultura, un patrimonio e un paesaggio amato. Ma è in pericolo di estinzione, perché i valori che esso incarna sono in contrasto con la sterilizzazione e la standardizzazione dei prodotti alimentari massificati».

Ma torniamo all’incontro con Ekaterina: Eros si adopera subito per trovare un’abitazione per la sua famiglia, e non solo. La invita già dal primo giorno di permanenza in Italia a lavorare nel suo caseificio. Ekaterina non parla l’italiano, ma la collaborazione è fin dall’inizio bella e proficua. Dal lavoro a quattro mani nascono anche due nuovi formaggi: un erborinato ovi-caprino stagionato nelle foglie di felce, e un erborinato di latte caprino a forma di cuore, dal nome simbolico, breaking heart (cuore spezzato).

Giampaolo Gaiarin, Trentino Alto Adige

Un attivista che abbia condotto battaglie importanti per i valori della resistenza casearia: Giampaolo Gaiarin, Trentino Alto Adige. Il premio è consegnato a cheese da Bper.

Perché ha messo la sua esperienza e le sue competenze al servizio della causa del formaggio naturale: a latte crudo e senza l’aggiunta di fermenti selezionati. E perché si è speso in prima persona, lavorando al fianco dei piccoli produttori, in Italia e nel mondo, e formando generazioni di casari.

Giampaolo Gaiarin è nato in Svizzera, a Schaffhausen, e vive in Trentino. Dal 2011 insegna all’Istituto di San Michele all’Adige ed è tecnologo alimentare per la Fondazione Edmund Mach. 

Attraverso l’insegnamento mette a disposizione dei giovani le sue competenze, la sua esperienza e la sua grande passione, e porta avanti una precisa idea di formaggio.

Secondo Gaiarin, il formaggio fatto con il latte a crudo senza l’aggiunta di fermenti selezionati è la forma più rispettosa e autentica della caseificazione: l’unica in grado di restituire gli aromi e le specificità di ogni latte, di ogni stalla, di ogni pascolo. E non si limita a spiegarlo in aula, ma si impegna quotidianamente per dimostrare sul campo che è possibile produrre formaggio naturale, facendo prove di caseificazione assieme ai produttori, aiutando i casari interessati a passare dai fermenti acquistati al latte innesto, addirittura inventando una piccola fermentiera casalinga per agevolare il loro lavoro. 

Si occupa dei Presìdi Slow Food dei formaggi trentini dai primi anni di avvio del progetto, ha accompagnato la nascita dei primi due Presìdi trentini d’alpeggio – il Puzzone di Moena e il Vezzena – ma ha dato supporti anche a realtà di altre regioni (come il saurnschotte di Sappada). Negli anni successivi, sempre come volontario, è volato in Africa, a Capo Verde, per fornire la sua preziosa consulenza ai casari eroici dell’assetato Planalto di Bolona, ha seguito meticolosamente il percorso dei produttori del Presidio del formaggio verde di Tcherni Vit, in Bulgaria, e solo poche settimane fa è stato in Bosnia Erzegovina per fornire consulenza ad alcune produttrici del Presidio Slow Food di sir iz mijeha (“formaggio nel sacco”).

Filiberto e Leonardo Vaira, Daniela Miglio, Piemonte

Una persona che si è impegnata per preservare prati stabili, pascoli e altri ecosistemi importanti per la salvaguardia della biodiversità: Filiberto e Leonardo Vaira e Daniela Miglio, Piemonte. Il premio è consegnato a Cheese da Parmigiano Reggiano.

Perché hanno saputo trasformare la loro passione per gli animali e per la natura in un progetto di vita. Perché ogni anno conducono a piedi le brune alpine e le capre in alpeggio e si prendono cura di pascoli magnifici, tra i 1400 e i 2000 metri.

La famiglia Vaira vive in Valle Vogna, una valle laterale della Valsesia alle pendici del Monte Rosa, tra alpeggi incontaminati, pianori ricchi di erbe e fiori, boschi, laghi e purissimi corsi d’acqua. È un’azienda molto giovane, nata nel 2016, ma ha già fatto molta strada: i fratelli Vaira, Filiberto e Leonardo, con le loro famiglie, allevano 45 vacche, tutte di razza bruna alpina originale (la storica vacca dei Walser), ma anche 80 capre, cavalli, maiali, api… e producono formaggi, carni, salumi, frutta, verdura, miele di alta montagna.

Durante l’inverno bovini e caprini vivono in una stalla nel fondovalle, alimentati con fieni di montagna. A maggio si preparano per la tradizionale pratica della transumanza: gli animali sono condotti a piedi all’alpe Peccia, a 1500 metri, dove rimangono fino a metà luglio, poi si spostano all’alpe Prà d’Otra e, infine, a metà agosto, raggiungono l’alpeggio Giannuna, a 2000 metri, dove l’erba è ricchissima e perfetta per la caseificazione. Tra i formaggi – tutti a latte crudo – merita un’attenzione particolare il padotra, un cacio grasso d’alpeggio di grossa pezzatura (circa 10 chili).

Filiberto, classe 1990, in un’intervista racconta: “Lavorare con la natura mi ripaga da tutti gli sforzi e i sacrifici. Ogni giorno è una magia diversa, quello della nascita di un vitello o un capretto, la rinascita della natura in primavera, la raccolta dei tuoi prodotti dalla terra, ogni cosa per me è speciale. Al giorno d’oggi l’agricoltura è una certezza, anche se a fine mese non si è diventati più ricchi di prima, hai la possibilità di vivere bene, in un ambiente sano, e mangiare i tuoi prodotti.”

E infatti per lui l’allevamento e l’agricoltura non sono stati un ripiego, ma una scelta precisa, preparata con dedizione e studio, prima all’Institut Agricole di Aosta, poi all’università, dove ha frequentato il corso di Produzione e Gestione degli Animali in Allevamento e Selvatici. Ma la passione per gli animali ce l’aveva fin da bambino, e la condivideva con il fratello: entrambi, fin da piccoli, amavano andare a vedere gli animali nelle stalle e sui pascoli del paese. Ora questa passione è diventata un progetto, anzi mille progetti, e una concreta possibilità per i Vaira, che nel frattempo sono diventati genitori, e le loro famiglie.

Michele Totaro dalla Puglia e Vito Canio Abbate dalla Basilicata

Un allevatore o un’allevatrice che si è adoperato/a per la salvaguardia di una razza autoctona a rischio di estinzione. due premiati ex aequo: Michele Totaro, Puglia e Vito Canio Abbate, Basilicata. I premi sono consegnati a Cheese da Confartigianato Cuneo e Pastificio di Martino.

Perché la sua passione e il suo entusiasmo per la pastorizia e la cultura della sua terra sono contagiosi. E perché ad appena vent’anni ha saputo creare una masseria tutta sua, e fare la scelta coraggiosa e lungimirante di puntare su razze locali come la vacca podolica e la capra garganica, che producono meno ma sono in perfetta sintonia con i pascoli del Gargano e regalano prodotti eccellenti.

Michele Totaro è un giovane allevatore e casaro pugliese, anzi “garganico”, come ama definirsi. Originario di Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, vive e lavora a Vico del Gargano dove la sua famiglia alleva vacche di razza podolica da quattro generazioni.

A 10 anni riceve in dono dal nonno la prima podolica. Oggi di anni ne ha 23 e ha scelto con orgoglio di svolgere il mestiere di famiglia. 

Michele conosce i suoi animali uno per uno, se ne prende cura, li porta al pascolo, e lavora il loro latte: «Io sono nato per fare il pastore. Più che una passione la mia è una malattia», dice. La podolica è una razza da allevare allo stato brado. Offre carni sapide, sane e ricche di sali minerali e con il suo latte si producono caciocavalli e ricotte dai sapori unici. Nel Gargano questo animale ha da sempre una triplice attitudine, perché in passato era utilizzato anche come supporto nel lavoro sui campi. Tuttavia, a causa di alcune caratteristiche poco “moderne” come la minore produzione di latte e le carni più tenaci, oggi la sua diffusione è sempre più ridotta. Molti allevatori hanno iniziato a incrociarla prediligendo razze più commerciali. Il rischio è che, insieme alla razza, si perdano secoli di storia fatta di transumanze e scambi, di mutuo dare e ricevere tra uomo e natura.

Lo stesso vale per la capra garganica, una razza autoctona del promontorio del Gargano che quasi nessuno allevava più in zona perché meno produttiva a confronto con quelle commerciali. Una capra rustica, che ama crescere libera, e infatti ben si adatta alla Foresta Umbra. È tenace, resiste meglio alle malattie e regala un latte di grande qualità.

L’amore per questi animali porta Michele ad andare in controtendenza: appena ventenne decide di aprire una masseria tutta sua, U’ Sculer, che oggi conta una cinquantina di podoliche e 95 capre garganiche (tre anni fa, quando ha iniziato ad allevarle, ne aveva solo 15). E sui social racconta, come tutti i suoi coetanei, le sue più grandi passioni. Parla con le capre, fa selfie con le vacche e dirette social con le capre, organizza feste della transumanza. 

Il sorriso è sempre stampato sul suo volto, perché a muoverlo è la gioia di star facendo del bene al proprio territorio: «bisogna tornare alle nostre radici, riprendere la nostra storia e valorizzare le razze autoctone».

Perché ha deciso con capabia di salvare la capra grigia lucana, un animale prezioso, che riesce a usare i pascoli più difficili, la boscaglia, le stoppie, nutrendosi di erbe, arbusti, ghiande. Grazie al suo impegno, è stato istituito il Registro Anagrafico della razza. Oggi Vito è un punto di riferimento per chi recupera razze locali.

Vito Canio Abbate è un allevatore e casaro lucano. Ha 37 anni ma ha esperienza e visione di chi ne ha molti di più. La sua è una famiglia di allevatori, il papà possiede alcune vacche e il nonno materno alleva pecore. In casa sono in quattro: lui, i genitori e la sorella minore, che insieme a lui, sin dall’infanzia, partecipa alle lunghe giornate di transumanza verso i pascoli della Puglia, a piedi. Di quegli anni Canio conserva il ricordo delle giornate trascorse con gli animali, della mamma che caseifica al mattino, delle pecore grigie che il nonno proprio non vuole rinunciare a portare a seguito del gregge.

(Foto Alessandro Vargiu / Archivio Slow Food)

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