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CARAGLIO/ Quel sigaro Cavour che nell'800 faceva concorrenza a quello Toscano

CUNEO

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LUCIO ALCIATI - Passeggiavo in paese, in una di queste interminabili, gelide, monotone e semi deserte giornate, quando ad un certo punto ho captato l’inconfondibile refolo aromatico di un sigaro toscano.

Il Toscano, il tabacco: ed ecco che scatta in me il pensiero di passate letture e di narrazioni riguardanti la sua antica coltivazione nel mio territorio.

L’affascinante storia del tabacco locale nasce, tanto tempo fa, per mezzo di un personaggio molto illustre - Giovanni Girolamo Galleani: costruttore del  magnifico Filatoio di Caraglio.

Il Conte ebbe nel 1702, da Vittorio Amedeo “la facoltà esclusiva di poter macinare qualsiasi foglia atta a fare tabacchi e ridurre in polvere (da fiuto)”.

Quindi si dotò, specialmente nel complesso serico di Venaria , di una pesta da tabacco.

Che, presumibilmente, veniva coltivato nei suoi poderi presso Palazzasso di Caraglio e zone limitrofe.

Poche notizie poi. Fino agli anni ’50 del secolo scorso quando “il modello americano”, grazie anche alla nuova cinematografia, diventa uno “status”, impennando l’uso (e l’abuso) della sigaretta.

In questo periodo, nei nostri areali si sviluppò con gran reddito, di nuovo, la tabacchicoltura.

Ma sottostava al Monopolio di Stato , per cui veniva coltivata a “contratto”, per mezzo di intermediari che fornivano la semente e garantivano il ritiro, con le ditte di trasformazione e confezionamento riconosciute e abilitate dallo Stato.

Quindi la coltivazione e la seguente essiccazione era controllata da operatori governativi che apponevano sigilli al prodotto essiccato , destinato agli opifici di cui sopra.

Guai a chi coltivava ed essiccava tabacco fuori dalle regole. Se scoperto veniva denunciato per contrabbando.

Tuttavia, da racconti sentiti, molti contadini si auto producevano il tabacco “’d sfross”, cioè “di nascosto”.

Forse pochi lo sanno ma da tempo non è più così.

La coltivazione di tabacco per autoconsumo è permessa dal D.L. N.870 del 30.11.1970.

La produzione non deve superare le 1000 foglie (una trentina  di piante circa) e l’eventuale sovrapproduzione non può essere venduta ma deve essere donata ai consorzi riconosciuti.

Per chi è amante del tabacco, nonostante le ripercussioni negative sulla salute, ampiamente valorizzate da numerosissimi studi medici, è sicuramente un fatto positivo.

Il poterlo coltivare, seguendone di persona il ciclo biologico, senza uso di pesticidi (largamente impiegati nelle grandi coltivazioni americane e a rischio residui nel prodotto finito) in un ambiente ancora puro come il nostro, beneficiato da un favorevole clima pedemontano, ne esalta marcatamente la qualità. Poi la soddisfazione e anche il risparmio.

Se invece si vuole rievocarne una coltivazione a scopo anche redditizio allora si può produrre, secondo le regole di legge, per ditte riconosciute dal monopolio, le quali si occuperanno della trasformazione e commercializzazione.

Esistono consorzi di produttori in Italia che coltivano il tabacco da destinare, dopo l’essiccazione delle foglie intere, ai fabbricanti artigianali  di sigari (Mosi, L’Italico, Zipilli, Tornabuoni ecc) e industriali (sigarette) tramite contratti di ritiro. In alcuni casi forniscono le piantine e assistenza (F.A.T. – Fattorie Autonoma Tabacchi).

Oltretutto questo prodotto agricolo sta interessando anche il settore gastronomico (cioccolato al tabacco, salumi aromatizzati al tabacco, formaggi stagionati con foglie di tabacco), in ambito farmaceutico, chirurgico e medico.

La coltivazione inizia con la semina a febbraio, in serra, o luogo riscaldato.

Le varietà storiche coltivate in Italia: Kentuchy, Virginia, Burley (il seme è facilmente reperibile su internet).

Avviene poi il trapianto in campo a maggio.

Da luglio si incomincia a staccare e raccogliere le foglie più grandi (in totale 20-50 per pianta).

Queste vengono poste su cavalletti ad essiccare in luogo areato e ombreggiato.

Dopo un determinato lasso di tempo (alcuni mesi), appurando il giusto stato di essiccazione, vengono raccolte e assemblate in diversi mazzi, a seconda della categoria. Infine stoccati in scatole ed inviate alla ditta autorizzata per la lavorazione e confezionamento.

Diversa, invece, la tecnica per l’essiccamento delle foglie di tabacco da sigaro.

In questo caso le foglie da essiccare vengono poste in essiccatoi riscaldati a legna. Questo  per conferirgli gusto e aroma particolare.

Per l’autoproduzione, come già anticipato, non si deve superare le 1000 foglie e non si deve essere dotati di attrezzatura specifica  adibita alla trasformazione e confezionamento di sigarette, sigari, tabacco da fiuto o da mastico.

Maggiori dettagli si possono trovare facilmente navigando su internet (siti consorzi, video ecc).

Infine  alcune notizie sui sigari piemontesi.

Nella seconda metà dell’800 si produceva il Sigaro Cavour ed era in continuo conflitto con il sigaro Toscano.

Il Sigaro Cavour era composto da tabacco a cui veniva sottratta una parte di nicotina con un trattamento particolare. Alcuni affermavano che veniva poi colorato e aromatizzato  con radice di liquirizia. 

Un altro sigaro di presumibile origine piemontese era definito “alla Paglia”: all’interno di esso, nella sua lunghezza veniva inserito un fuscello di paglia. Questo fuscello sporgeva un poco al di fuori della parte del sigaro che si tiene in bocca. Si accendeva dalla parte opposta togliendo prima il fustellino di dentro. Probabilmente da  questo il dire “ fumiamoci una paglia” che ogni tanto compare ancora .

Lucio Alciati

 

 

 

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