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Bra: storia di Ciribiribin, il pappagallino inseparabile di Carmen

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Carmen, in un pomeriggio di chiacchiere a casa mia, mi mostra la foto di un pappagallino. E' bellissimo, piccolissimo e verdissimo, con la testolina rossa. “Racconta, racconta.” quasi supplico Carmen. “E' una bellissima storia, mah...” Dice lei. Un'ombra triste la rabbuia.

Ma continua: “Tutto è cominciato quando la mia mamma compì 105 anni. Un vicino della nostra casa estiva di Cherasco  le donò un pappagallino piccino. Lungo appena un dito. La mia mamma amava tutti gli animaletti. Parlava alle lucertole e ascoltava gli uccellini. Trascorreva la giornata a letto e il cinguettìo degli uccellini in giardino le teneva compagnia. Gliene comprai persino uno finto, di quelli cinesi che, schiacciando un pulsante, cinguettano.

Ma Ciribiribin, dalla canzone degli anni trenta, era molto meglio. Era appena svezzato e di razza “inseparabile” e quando rientrammo nella casa di Torino, lo misi con la sua gabbietta sulla finestra. Mi faceva pena tenerlo in gabbia, così al mattino lo lasciavo in libertà. Cominciava a muoversi per la casa, ma non volava ancora, zampettava solamente. Si arrampicava ovunque. Persino sul filo del lampadario, che dovetti rivestire per sicurezza. Presto imparò a salire sul tavolo della cucina e quando apparecchiavo tavola assa-li-va il pane!

Era goloso di insalata, ma era molto educato, non beccava nel piatto aspettava che gliene dessi una fogliolina. Finì per non mangiare più il becchime. Ormai mangiava con noi. Mentre lavavo i piatti, scendeva nel lavandino, beveva al rubinetto e si lavava. Bagnato era un niente. Piccino. Come un dito. Mi seguiva per casa. Era intelligente, ragionava e superava tutti gli ostacoli. Giocava sul  letto di mia mamma con le caramelle. Le faceva saltare sul letto finchè non riusciva a scartarle. Mangiava la minestrina con mia mamma. Senza entrare nel piatto, solo sul bordo.

Diventammo inseparabili, proprio come il nome della sua razza. Viveva sulla mia spalla, sia in casa che fuori. A Cherasco, dove non c'era pericolo, lo portavo per strada con me sulla spalla quando facevo visita alle mie amiche che lo accoglievano in casa. Ormai era normale che Carmen girasse con il suo Ciribiribin. Non potevo più indossare collane, non so come riuscisse col beccuccio ad aprire i fermagli.

Era la mia ombra. Ormai la sera non voleva più rientrare nella gabbia, anche se la lasciavo aperta. Guardava la televisione con me, e poi un bel giorno mi ritrovai a dormire con Ciribiribin. Si metteva sulla spalla destra, proprio nell'incavo dell'ascella. E io dormivo, immobile, per tutta la notte a pancia in giù per paura di schiacciarlo. E anche lui restava immobile. Al mattino, vicino alla sua gabbietta, faceva due o tre passi indietro, era il segnale: gli mettevo sotto un pezzettino di carta e faceva i suoi “bisognini.”

Carmen racconta, racconta. Parla di Ciribiribin, come se l'avesse ancora con sé nell'incavo della mano. La voce si assottiglia,  quasi cinguetta anche lei. La tenerezza la avvolge mentre con i gesti lo ricorda. E verso la fine del racconto è solo: malinconia,  tristezza,  rimpianto.

“Cosa è successo al tuo Ciribiribin?”

“Volevo dargli una compagna. Quando tardavo un po' alla sera, lui andava su e giù dalla cucina alla porta di ingresso.  Sentiva la mia mancanza. E quando arrivavo mi saltava in braccio per farmi le feste. Aveva una dedizione per me. Così un giorno, come accordato, un signore portò due pappagallini, uno anche per la badante Lucia, che lo desiderava. Quel giorno ero via e raccomandai Lucia di tenere i pappagallini nelle scale ancora per un un po' e di non sistemarli assolutamente al posto di Ciribiribin.

Alla sera, tornata a casa, chiesi di Ciribiribin. I due uccellini erano nella loro gabbia, mentre la sua era posata per terra. E lui non si trovava. Lo cercammo dappertutto. Poi, andai vicino al letto di mia mamma, dove non riusciva a salire da solo. Invece era li. Ho tirato giù il lenzuolo per prenderlo, ed era morto. Io dico che è morto di crepacuore. Hanno messo gli altri al posto suo. Io non c'ero per coccolarlo. Si è rifugiato da mia mamma. Ha pensato di essere stato abbandonato. Non dovevo lasciarlo da solo quel giorno. L'ho sistemato in una scatoletta di legno con il decoupage realizzato da me, l'ho interrato al cimitero nella mia tomba di famiglia, sotto una pianta di ginkobiloba, che avevo piantato io stessa.”

Carmen rivive quel momento terribile, gli occhi velati di pianto, e non si dà pace di avere abbandonato il suo inseparabile. E conclude: “Oltre ai mie genitori, chi mi ha amata di più è stato Ciribiribin.”

Fiorella Avalle Nemolis

 

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