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Assassini brutali, violentatori di gruppo: la presunzione di innocenza cessi dopo il primo grado di giudizio

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Durante l’esistenza ed il funzionamento dell’Unione Sovietica, uno dei maggiori capi a lungo al potere lo esercitò - come di consueto - in modo assoluto. Aveva un debole - di natura non certo affettiva ma puramente sessuale - per le giovani liceali. Le andava ad osservare all’uscita delle scuole, accomodato su un’auto anonima, con la sola compagnia del fidato autista (Nulla di analogo, sia chiaro, con un presidente francese che, qualche anno fa, usciva in Vespa furtivamente dal palazzo per andare a trovare le morose, all’insaputa di - quasi - tutti). Adocchiata la studentessa preferita, incaricava la polizia segreta, della quale era stato il responsabile, di provvedere a portarla al Cremlino. Non veniva rapita per strada, con il conseguente clamore. Gli incaricati si presentavano all’indirizzo di casa dando l’annuncio ai genitori, che nulla potevano opporre alle brame del novello Don Rodrigo. Dopo la la serata o la nottata, la sfortunata veniva riaccompagnata a casa con l’auto di servizio, gratificata con un regalo. Tanti saluti alla famiglia e l’augurio che la studentessa avrebbe certamente seguito il corso degli studi con profitto e successo. I genitori non si rivolgevano al giudice, denunciando l’accaduto e chiedendo procedersi penalmente verso il potente rapitore - e violentatore -perché sapevano che sarebbero finiti in Siberia. Capi e capetti dei narcotrafficanti venezuelani, colombiani e peruviani, si comportano analogamente. Anzi, incaricano i loro guappi di segnalare, con accompagnamento di fotografia e filmati - le più belle ragazze della città o del paese. Ordinano poi il prelievo delle prescelte - ovviamente una alla volta, non disponendo di un harem. Talvolta la permanenza forzata si protrae a lungo o diventa convivenza. I genitori, anziché gioire per la bellezza delle loro figliole, ne impediscono quasi le normali uscite di casa. Le caratteristiche estetiche più appariscenti vengono mortificate, dal seno ben sviluppato ai capelli fluenti, agli abiti adeguati. Nulla infatti può essere fatto per impedire tali rapimenti, in paesi dove l’affidabilità delle istituzioni è prossima allo zero, polizia e magistratura sono inefficienti e corrotti. Da noi non è una novità il frequente ricorso alla violenza nei confronti delle donne, trasformandole in prede sessuali.

A Matera, nel corso di una festa in un villone con giardino da parte di una cinquantina di partecipanti, senza mascherine e distanziamento, due quindicenni straniere sono state drogate e stuprate da alcuni partecipanti - forse addirittura otto - ospiti dell’anfitrione festeggiato. Un altro stupro è avvenuto su un lungomare ad opera di due giovani, con modalità subdole e disprezzo della ragazza, che aveva dato fiducia ad uno di loro.  Sono lontani i fatti del Circeo - giurassico, per la maggior parte dei lettori - quando giovani pariolini di ottima famiglia avevano violentato e ucciso una ragazza; la compagna, che aveva subito il medesimo trattamento, si era salvata per puro miracolo, dal momento che era già considerata morta dagli assassini. Erano “solo due popolane”. Nel contesto odierno, abbiamo visto in questi giorni le conseguenze della bestiale brutalità di palestrati di paese, pregiudicati, accusati di aver ucciso il povero ragazzo capoverdiano Willy, con furia incontenibile. Per ora non si è posto, processualmente, l’accento sul colore della pelle e sulla provenienza extracomunitaria del ragazzo trucidato, benvoluto da tutti. È stato calpestato quando giaceva a terra, dopo pugni, calci, colpi proibiti di discipline violente. Era intervenuto generosamente in difesa di un amico, attaccato dal gruppo di violenti prevaricatori, che dettavano legge a suon di botte nei paesi nei dintorni di Roma. Qualche giornalista, discostandosi dai commenti univoci sull’accaduto, non ha condiviso l’aver già attribuito una precisa responsabilità agli assassini, violando così il principio costituzionale della presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio ed attribuendo agli stessi la qualifica di fascisti, non opportuna né giustificata. Costituzione alla mano, gli assassini accertati tali da prove inoppugnabili, sono presunti innocenti e tali saranno da qualificare fino al completamento dell’iter processuale. Analogamente, i violentatori di Matera -il branco che ha drogato e stuprato le due ragazzine quindicenn doi- saranno ritenuti innocenti fino al terzo grado di giudizio. 

I padri costituenti, introducendo tale norma, salvifica per gli innocenti ingiustamente processati o anche condannati in primo e secondo grado, avevano ben presente il delitto Matteotti, i tanti assassinii commessi dai fascisti, l’uso improprio dell’olio di ricino, il confino, le manganellate ed anche la magistratura imbavagliata o correa con il fascismo. Abbiamo ora un processo penale garantista: la prova si forma nel contraddittorio delle parti, di fronte ad un giudice terzo. Appare pertanto illogico mantenere inalterata la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. I processi, pur seguendo ora il rito anglosassone, da noi arrivano in Cassazione dopo cinque/sei anni, nei migliori dei casi. Ci tocca così considerare, per tale durata, presunti innocenti anche assassini brutali, violentatori di gruppo, per i quali la presunzioni di innocenza dovrebbe cessare, così come per tutti, dopo il primo grado di giudizio. Circa l’osservazione di non chiamare fascisti gli assassini di Willy, occorre considerare che il termine, nel comune sentire, è divenuto sinonimo di oppressori, prevaricatori, violenti senza ideali oltre la violenza stessa. Il ventennio fascista ha lasciato un ricordo indimenticabile, che affiora, anche senza richiami espressi al suo fondatore o manifestazioni esteriori di culto della sua persona.

Piercarlo Barale

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