ATTUALITà
MARIO ROSSO - Dato che il 4 dicembre si avvicina, ritengo giusto riassumere le ragioni più ampiamente esposte in precedenti articoli, che mi portano a sostenere con convinzione il “Si”.
Certo la riforma non è perfetta, potrebbe essere fatta meglio, ma è un primo, importante, passo avanti per “de sclerotizzare” il Paese. Capisco alcuni professori (peraltro la minoranza degli studiosi) che la criticano perché potrebbe essere fatta meglio, ma preferisco chi ha il coraggio di fare un passo avanti a chi, sia pure con dotte elucubrazioni, sta fermo mentre il resto del mondo va avanti.
Ridicole sono, poi, le affermazioni di pericolo di “deriva autoritaria” avanzate, fra l’altro, da chi nel 2006 propose una riforma costituzionale presidenzialista (quella si, dirompente e pericolosa), dato che non una sola virgola dei poteri del presidente del consiglio viene cambiata e, da questo punto di vista, tutto resta come prima. Ridicoli sono quelli che dicono di votare no affermando che, poi, loro nel giro di sei mesi faranno una riforma migliore.
Tutti, infine, critichiamo un sistema sclerotizzato e capisco i D’Alema o i De Mita che amano il vecchio perché ci possono meglio sguazzare (ho letto recentemente anche un appello al no della Consulta dei senatori del Regno, che sperano nella restaurazione della monarchia), ma non capisco quelli che dicono di volere il cambiamento e, poi, votano “no”.
Quanto all’Italicum che ha indotto una piccola parte della minoranza del Pd a schierarsi sul fronte del “no”, osservo che l’Italicum, se paragonato ad altri sistemi elettivi (come quelli francese o inglese in cui i premier governano con poco meno o poco più del 35% dei voti) non è così “terribile” e ricordo, in ogni caso, che Renzi unitamente al primo esponente di quella minoranza (Cuperlo) ne hanno promesso il cambiamento e trattandosi di una legge ordinaria, in quanto tale più facile da approvare, non v’è motivo per ritenere che una nuova legge non si possa fare.
Votare “no” significa lasciare tutto com’è; è a dir poco curioso che coloro che affermano di voler cambiare il paese, ridurre i costi del parlamento e il numero dei parlamentari propongano con il “no” esattamente l’opposto (certo, se passerà la riforma, 300 parlamentari perderanno il posto, e fra essi poco meno di un centinaio di grillini, ma non credo che siano tanto attaccati alle poltrone … o no?).
Il bicameralismo paritario è un’anomalia tutta italiana (in nessun altro Paese dell’Unione Europea esiste una seconda camera con pari poteri della prima) e la trasformazione del senato in camera delle autonomie riconosce, finalmente, agli enti locali (regioni e comuni) un valore costituzionale che prima non avevano. Su questo tema si sono spese una marea di parole, molte delle quali vere e proprie bufale.
Semplicemente: se passerà il “si” avremo finalmente un senato simile (non uguale, ma simile) a quelli di Francia e Germania (e non si dica che quelli sono perfetti, perché anche quei senati hanno difetti agli occhi dei critici, dato che qualunque sistema ha pregi e difetti); certo è che finalmente non vi sarà più il ping-pong dimostratosi negli anni capace, invece che di migliorare le leggi, solo di complicarle o peggio di impastocchiarle.
Se passerà la riforma, le leggi saranno approvate più rapidamente e, insegna l’esperienza, in forma più chiara; i costi,inoltre, si ridurranno sensibilmente (non solo il costo di 300 parlamentari in meno, dato che i nuovi senatori non percepiranno compensi, ma anche il costo degli uffici e delle strutture di supporto delle due camere, oggi doppie e nell’arco di qualche anno unificate, e soprattutto il costo, non quantificabile ma assai alto, che il ritardo e l’incertezza determinati dal prolungarsi dell’approvazione delle leggi comporta per le imprese).
Tutti abbiamo assistito impotenti agli sprechi e alle ruberie di regioni senza controllo e a legislazioni contraddittorie (dal sistema ferroviario alla sanità) non solo fra stato e regioni, ma anche fra una regione e l’altra, con conseguenti trattamenti diversi da regione a regione e correlate ingiustizie; vogliamo davvero che non si ponga un limite a tale sistema?
Il bello è che proprio coloro che puntano il dito accusatore contro sprechi e ruberie, poi propongono di votare “no” alla riforma che prevede un maggior potere dello stato in settori chiave (come, per fare solo qualche esempio: trasporti, sanità, tutela dell’ambiente, cultura, oggi nel caos), un coordinamento delle politiche regionali e un più penetrante controllo contro abusi e sperperi delle stesse.
Vi sono, infine, altri contenuti della riforma di cui poco parlano i suoi detrattori, come l’inclusione in costituzione dell’equilibrio/parità di genere (una spinta a favore dell’ingresso delle donne in politica), il ridimensionamento della decretazione d’urgenza, l’estensione dell’istituto del referendum anche ai referendum propositivi e di indirizzo, l’obbligatorietà di esame delle proposte di legge di iniziativa popolare (prima bellamente ignorate dalle camere), l’abolizione del Cnel e altre ancora. Dire di “no” significa anche bloccare per anni la possibilità di introdurre nel nostro Paese tali benefici che non ridurranno, ma aumenteranno, se approvati, il potere di controllo del Popolo.
Già perché fra le tante critiche c’è anche quella che la riforma ridurrebbe il potere di rappresentanza del Popolo. Ma mi chiedo: il Popolo è meglio rappresentato in un sistema pasticciato come quello attuale, in cui per chi siede in Parlamento è più facile criticare che fare ed è più conveniente criticare senza assumersi responsabilità o giocare allo scarica barile, o un sistema più semplice in cui sia chiaro chi è chiamato per volontà del Popolo a comandare e si assume il conseguente onere delle decisioni?
Tacito diceva: troppe leggi uguale repubblica corruttissima. Parafrasandolo oggi si può dire: troppi legislatori (due camere e tante regioni) uguale repubblica corruttissima (e purtroppo la corruzione in questo Paese è da record). V’è da sperare che con una sola camera che emanerà il 95% delle leggi si riduca questo mal costume e sia chiaro quantomeno di chi sarà il merito o il demerito di una legge.
Un ultimo invito agli elettori: non votate in base alla simpatia o all’antipatia verso Renzi e il suo Governo, o perché qualche provvedimento del Governo non vi è piaciuto; la riforma costituzionale riguarderà chi eleggeremo per governare in futuro, non di chi governa oggi.
Mario Rosso