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Anche da Cuneo al Jazz:Re:Found, festival che funziona e incuriosisce

CUNEO

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MARCO PIZZINI - "Arrivo verso la fine dell'esibizione di Ensi, mentre rima sui meridionali a Torino e li esorta a farsi sentire. Da subito noto una peculiarità del Jazz:Re:Found di Torino: il suo pubblico. Prevalentemente italiano - con una forte presenza di torinesi, ma anche di cuneesi - si contraddistingue per l’intergenerazionalità e multiformità di persone, dal "clubber" al musicofilo, tutti ballano e ascoltano.

Il Jazz:Re:Found, festival che racchiude tutto ciò che è legato al jazz (funky, hip-hop, disco, breakbeat), funziona e incuriosisce.

Poco dopo, Grandmaster Flash compare sul palco con giradischi e computer (un setup che non mi aspettavo da parte di uno dei più grandi cultori del vinile). La tecnica si fa comunque sentire – Flash al microfono incita tutti e parte con un una hit disco e una scarica di loop.

Tutto il set di Grandmaster Flash è caratterizzato da tracce famosissime, che chiunque sia uscito di casa negli ultimi 20 anni non può non aver sentito almeno una volta. Prince, Michael Jackson, Fugees, per nominare i più famosi. Un djset ballabile dall'universo intero.

Durante il dj set si muove con scioltezza tra i diversi generi musicali. Due intermezzi stilistici raggae e trap/dubstep mutano il flusso danzereccio – ma al termine di questi Grandmaster riparte sempre con una hit. Un set "facile" nei dischi, ma che non minimizza l’arte di Grandmaster Flash e a pieni voti raggiunge l’obiettivo principale di ogni dj: coinvolgere tutti e tenere alta la festa.

Entusiasmo galvanizzato anche dagli spezzoni del telefilm “Get Down” proiettati durante l’intero set di Grandmaster Flash. Momento indimenticabile la sovrapposizione di The Girl From Ipanema sul giro di batteria di Highway To Hell degli AC/DC.

Invece al Cap10100 c'è stato Mr. Scruff, uno degli highlights del festival. Arriviamo in tempo per sentire l’ultima mezz’ora di Andrea Di Maggio, in arte Passenger. Un ottimo set su vinile che passa da sonorità techno e house cantata alternate a gemme disco & soul. A parte una breve interruzione tecnica durante il brano di Aged In Harmony - I Feel Like Dancin' a causa di un’incomprensione con i tecnici del suono, il suo dj set riprende senza problemi.

Mr. Scruff, che si era fatto precedentemente vedere in consolle, entra diretto e con il disco a tempo sull’ultimo pezzo di PassEnger, gesto apprezzatissimo poiché non interrompe il flusso sonoro.

Inutile descrivere la continua varietà e gusto di Mr.Scruff, che per 4 ore ci delizia dietro la consolle. Chi un po' lo conosce, sa che la sua selezione è veramente poliedrica, rappresentante del migliore suono inglese – il suo è un mix creativo di dub, breakbeat e garage house, ricchi di samples strumentali soul e jazz.

Sentiamo dischi di Crown Heights Affair, Treva Whateva, Roots Manuva, Quantic, Aquarian Dream e Nuyorican Soul e dello stesso Mr. Scruff, giusto per citarne alcuni. Dopo 4 ore di dj set, il pubblico e dj Scruff si congedano, esausti ma felici. Decisamente ci siamo tolti la voglia!

I Colle Der Fomento sostituiscono la sofferta assenza dei De La Soul, un vero peccato per un festival con una così maniacale cura della direzione artistica. Quando entro ai Docks Dora, è ora di sentire l’ultima mezz’ora di Gilles Peterson, accompagnato da un sassofonista-vocalist. Il suo set è molto più “pettinato” di quello che mi aspettassi – mi accoglie una cassa in 4 quarti molto robusta. Nonostante ciò, memorizzo due passaggi a dir poco lisergici senza il ritmo scandito.

Rimango affascinato da questa capacità di rimanere semplici ma allo stesso tempo imprevedibili.

Al termine del suo dj set, mi sposto nella seconda sala dello Spazio Dora, per sentire mezz’ora di Leon Vynehall. Appena entrato rimango colpito – sento Brrr di Tiger Stripes, un disco che non mi sarei aspettato. Leon ugualmente mi lascia dubbioso nella mezzora successiva, nella quale ho tempo di ascoltare una selezione techno molto cruda e spoglia – comprendo che il "feel" di questa seconda sala è il controaltare del feel più "acustico" della sala principale, esigenza dettata probabilmente dagli spostamenti del pubblico fra le due sale.

Torno per sentire l’ultima mezz’ora di Sadar Bahar in sala grande – non rimango tanto stupito dalle sue capacità tecniche, quanto più dalla selezione. Un dj su cui rimando il giudizio a quando finirà la “Dekmantel hype”.

Vengo piacevolmente sorpreso da DJ Khalib, che trovo essere più incisivo di Sadar Bahar. Infine, ho ancora abbastanza forze per sentire l’inizio dell’energico live di Clap!Clap!, che sicuramente avrei apprezzato prima e non in chiusura di serata.

Colpevolmente, perdo il live di James Holden alla Scuola Holden, ma da una foto sulla pagina facebook del Jazz Re:Found vedo un setup elettronico poggiato per terra e una batteria microfonata al fianco.

Conoscendo il genio eclettico di James Holden, non posso supporre nulla riguardo al suo live. Ho solo un ricordo di un’esibizione simile, qualche anno fa, al Teatro Carignano, in occasione del Club To Club.

Ma non perdo il fantastico concerto di Tony Allen al Cap10100. Forse il punto più alto del festival, per intensità e partecipazione di pubblico. I musicisti compaiono sul palco, uno per volta e Tony Allen è l’ultimo a presentarsi. L’inizio del concerto è ipnotico.

Tony canta in nigeriano su un loop che di afrobeat tiene solo gli intervalli melodici e ci dice che "dopo ci sarà il groove, non temete, ora però è tempo di ascoltare”. Terminato questo brano, il pubblico è sedotto e il concerto inizia. E' doveroso presentare la formazione: chitarrista, percussionista, due tastieristi (di cui uno cantante e un altro sassofonista), un trombettista e voce, basso e infine Tony Allen alla batteria e voce.

L’afrobeat c’è e si sente, ma l’arrangiamento è moderno e non disdegna la tecnologia. Per quanto Tony Allen sia l’ospite indiscusso, il suo ruolo non spicca come musicista a sé stante, ma più per la capacità di dirigere tutti.

Un "solo" solo durante la serata, e non di potenza. Per due minuti sposta continuamente gli accenti della batteria, un solo preciso ma che nasconde una tenacia nervosa – calco preciso della personalità di Tony, schivo e posato nella voce che incute timore, sembra provenire da un’altra dimensione. Anche durante il concerto, il personaggio “Tony Allen” emerge quando si rivolge al suo pubblico. Così, quando chiede in inglese “After the begin, what is there? The… ?” e non ottiene risposta, creando un siparietto di incomprensione buffo a tal punto da divenire surreale.

Bello, ricco di umanità e passione l’interplay dei musicisti. Anche chi non suonava il proprio strumento durante il brano partecipava percuotendo dei legnetti. Amabile il suono ottenuto dal tastierista-sassofonista che in un brano processa il suono del proprio sassofono e della tromba dentro il Korg Mini MS-20. Me ne vado felicissimo e mi preparo per la serata al Teatro della Concordia.

Arrivo all’una e mezza, convinto di essere in ritardo per il live di Underground Resistance. Arrivo ed un mio amico mi fa notare che "ci siamo solo noi". Non capisco, entro di corsa e corro in sala principale. Rimango sorpreso e colgo un grave errore dell’organizzazione.

La location è troppo grande per il pubblico presente e sembra vuota. Diventa così difficilissimo non disperdere le persone.

Quindi ho il tempo di sentire il dj set di Stump Valley, che non incontra molto il mio gusto, e di raggiungere la seconda sala, rialzata. Qui suona Volcov, purtroppo, davanti a poche persone. Il live degli Underground Resistance (nella attuale formazione del progetto Timeline) inizia alle 2,30, e chiaramente trapela il nervosismo sul palco.

Il suono disco degli Stump Valley scompare e arriva il dj degli UR con una potente cassa dritta techno a 130BPM. Il segnale è chiaro: è ora di ballare (sottointeso: questo è il pubblico, poco, non sarà facile farlo ballare, ma sicuramente alzando un po’ il tiro si scalderà).

Segue a ruota il tastierista su una fantastica Korg Kronos, lo raggiunge il saxophonista-tastierista-flautista-spippolatore elettronico. Sarà l’attesa a cui sono stati sottoposti gli UR, saranno i problemi tecnici al microfono del saxofono che hanno mandato in panico il saxophonista, saranno i volumi delle spie corretti durante l’esibizione, ma la prima metà del loro live è imprecisa e pasticciata. Un vero peccato.

Chi è rimasto per la seconda parte dice che si sono ripresi ed è stato comunque divertente. Nella seconda sala, invece, Volcov ha preso un bel giro, manca sempre il pubblico, ma l’atmosfera è intima. Lentamente si riempie la sala fino al momento di Soichi Terada. 

Soichi Terada è stata la vera rivelazione di questo festival – è riuscito a portare una sorprendente ventata di allegria tra poche persone che si guardavano negli occhi o schivavano un po’ dubbiose lo sguardo altrui.

Come descrivere il suo live? Suoni 8-bit, basi house anni ’90 che strizzano prepotentemente l’occhio alle melodie semplici e allegre della dance e una personalità travolgente – i suoi balletti, le sue parole effettate con un harmonizer al microfono, piene di accento giapponese e serenità, lui che fa lo scemo e con una luce riprende l’origami Fortune Teller e simula che l’origami stia ringraziando tutto il pubblico al microfono.

Un live che ha presentato anche momenti improvvisativi alla tastiera (adorabile il suo visibile trasporto mentre suonava melodie italo-disco, passione eguagliabile solo ad un Lindstrom o ad un Prins Thomas). Grazie a lui sono potuto andare via sorridente da una serata che altrimenti mi avrebbe lasciato l’amaro in bocca.

A mio giudizio un ottimo festival, che quest’anno poteva brillare anche il sabato sera, se solo location e pubblico si fossero incontrati in città.

Il Teatro della Concordia è risultato forse troppo distante da Torino per attirare il pubblico del Jazz:Re:Found. Per quanto riguarda la scelta artistica, impeccabile".

Marco Pizzini

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