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Alitalia: privilegi e disastrosi bilanci hanno creato un buco senza fondo

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Lo sciopero è riuscito: la fabbrica chiude. L’effetto suicida di decisioni sindacali, assunte “a sigle unite”, ha lasciato, in alcune occasioni, i lavoratori in braghe di tela. I patrocinatori della strategia portata avanti a base di astensioni dal lavoro, blocchi stradali, convocazioni avanti i ministeri interessati - o più modestamente le locali prefetture - non hanno pagato, se non con la diminuzione delle tessere, la loro cecità ed arroganza. Krusjev, gran capo di tutte le Russie, quello che all’assemblea annuale dell’Onu si era levato una scarpa, battuta ripetutamente sul banco, per attirare in modo più efficace l’attenzione dei partecipanti, sostenne che gli scioperi sono efficaci solo quando gli affari dei datori di lavoro vanno bene.

Mai scioperare quando c’è disoccupazione o crisi di vendite. Si rischia di favorire il padronato. Da noi pare sia diventato l’unico mezzo per dialogare: a prescindere dall’importanza della vertenza e della sua incidenza sulla globalità delle situazioni in atto del Paese. La concorrenza per le tessere sindacali è consueta, soprattutto in alcuni settori del pubblico impiego. Recentissime dichiarazioni del presidente Biden, qualificatosi come il primo dei sindacalisti, hanno rivalutato i predetti.

Infatti una sigla statunitense, che era stata finanziata - stile ungere le ruote; si trattava infatti dell’automotive - per fare il danno dei tutelati ed il vantaggio dei versanti gli illeciti mezzi di convincimento. Se una sigla ha sbagliato, non si deve demonizzare l’intero fronte dei sindacati. L’equilibrio del Presidente ha stupito: ne avranno gioito Sanders e l’intera sinistra democratica. Ha bacchettato i disonesti e valorizzato il sindacato. Con il puntuale richiamo all’insostituibile funzione di tutela dei lavoratori, non solo economica - vedi stipendi e salari - ma della salute e della sicurezza sul lavoro. Il presidente non dimentica, in ogni iniziativa, neri, immigrati, donne, giovani, disoccupati.

Le principali sigle - Cigl, Cisl e Uil -, dopo una quindicina d’anni di crisi Alitalia, si sono accorte che lo Stato non intende buttare altri quattrini, inventarsi altre cordate di berlusconiana memoria. Rischia per altro sanzioni europee per gli aiuti di Stato finora corrisposti. La soluzione prospettata, accettata dall’Ue, prevede una nuova società con una cinquantina di aerei invece di centoquattro e cinque mila dipendenti anziché dieci mila e cinquecento. Da sempre mancano i quattrini per pagare il personale enormemente eccedente e non solo dopo la crisi mondiale del trasporto aereo, che ha radici lontane.

Un sindacalista che pare uscito ora dall’uovo, invoca dalla politica “un ragionamento serio nell’ambito di una cabina di regia con le parti sociali”. Come se finora si fosse giocato a Monopoli, anziché pensato a risolvere la difficilissima situazione, da tempo incancrenita. Manifesta il timore di possibile fallimento, laddove sono già scomparse le principali compagnie di bandiera e commerciali private. Il sindacalista ha capito solo ora che c’è il rischio di fallimento e di lasciare senza stipendi e per strada dieci mila lavoratori. Pare sia anche la testardaggine dei sindacati a portare a tale rischio, da anni evitato dalle generose costanti elargizioni dello Stato: oltre dodici miliardi. Un altro sindacalista - altra sigla - afferma che la cinquantina di aerei per la nuova compagnia sia insufficiente: ne occorrono almeno cento. Vengono viste con diffidenza anche eventuali accordi con importanti compagnie, come la tedesca Lufthansa. Anch’essa finanziata abbondantemente con prestiti mai restituiti, dallo Stato tedesco. Anche in questo caso vi è sospetto di aiuti di Stato.

Non è possibile continuare all’infinito ad erogare prestiti a fondo perduto, ben consci che non se ne vedrà la restituzione. È di evidente comprensione che la nuova Alitalia non può utilizzare cento aerei e dare lavoro a dodici mila dipendenti. La riduzione è stata ora decisa. Da parte sindacale sarebbe bene occuparsi non dei cinquanta aerei eccedenti il fabbisogno, ma dei sette mila dipendenti in esubero. Finora hanno percepito stipendi doppi in rapporto ad altre compagnie, senza per altro essere praticamente occupati, vista la crisi del settore. Si pensi alla loro riqualificazione professionale: dalla guida degli aerei passino agli autobus, agli autotrasporti, dove per altro vi è carenza di autisti.

Ogni italiano non può trovarsi tassato a vita per mantenere lavoratori fonte di spese rilevanti, utenti di privilegi sconcertanti, quali i viaggi su e giù per l’Italia per prestare servizio, con spese, soggiorni, straordinari. Il tutto a carico di Alitalia, cioè nostro. Il trasporto aereo è stato erroneamente considerato un vanto nazionale, da mantenere ad ogni costo; la porta per il turismo; l’ambasciatore nel mondo della nostra moda, cibi, signorilità, distinzione. Poteva andar bene al tramonto delle grandi navi di linea, dalle quali hanno ereditato le caratteristiche di una italianità vincente. Da tempo il mondo è cambiato. Assurdi privilegi e disastrosi bilanci hanno creato un buco senza fondo. Proceda il Governo nel senso concordato con l’Europa, anche se non vi sarà accordo con i sindacati.

Piercarlo Barale 

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